Jenny Holland è giornalista e autrice. Suo padre, Jack Holland, scrisse Misogyny: The World’s Oldest Prejudice, un volume pubblicato postumo nel 2006, esprimendo sulla misoginia un pensiero ben sintetizzato in poche frasi che risalgono al 2003, poco prima della morte. «Ciò che la storia ci insegna sulla misoginia», affermava, «può essere riassunto in quattro parole: essa è pervasiva, persistente, perniciosa e proteiforme. Molto prima che gli uomini inventassero la ruota, inventarono la misoginia e oggi, mentre le nostre ruote rotolano sulle pianure di Marte, quell’antica invenzione continua a rovinare delle vite».
La misoginia cambia forma e pervade il femminismo
La Holland denuncia la medesima realtà un ventennio dopo, in un articolo dal titolo Shape-shifting misogyny has invaded mainstream feminism, «La misoginia proteiforme che ha invaso il femminismo di convenzione», pubblicato qualche giorno fa su Feminist Current, sito web canadese nato nel 2012 con l’intento di fornire «[…] una prospettiva unica su genere, diritti delle donne, violenza contro le donne, cultura pop, politica, attualità, sessualità e molte altre questioni che sono spesso sottorappresentate o travisate dai media mainstream, progressisti e femministi».
Secondo l’autrice, cioè, la misoginia muta forma, assume caratteri nuovi, travalica vecchi confini, striscia e si insinua nelle società moderne ma costituisce la medesima, antica minaccia alla sicurezza delle donne, anche di quelle che ce l’hanno fatta, che sono indipendenti, di successo, famose: gli esempi di J.K. Rowling, ideatrice e scrittrice della fortunata saga di Harry Potter, e della cantante superstar Adele sarebbero lì a dimostrarlo.
La pretesa della Sinistra che avalla la falsificazione del gender
Si riferisce alla narrazione dell’ortodossia dell’ideologia gender, per cui il linguaggio viene violentato per essere piegato dalla dittatura della pretesa a dire ciò che non è, negando il dato biologico del sesso per investire tutto quanto, invece, su un’identità sessuale autopercepita che deve però essere universalmente e supinamente accettata. Si riferisce ai «papà cavallucci», donne che hanno effettuato la “transizione” al maschile mantenendo però l’apparato riproduttivo femminile e pertanto partorendo. Si riferisce alle «persone che allattano», agli «individui con vagina» e amenità analoghe, che mettono a rischio negli ospedali di tutto il mondo il servizio di cura per le madri e i neonati.
L’infiltrazione della femminilità da parte maschile
Si riferisce, soprattutto e all’inverso, alla «[…] infiltrazione fisica e psichica della femminilità da parte di uomini che, non contenti del dominio politico o religioso di un tempo, in realtà affermano di essere donne», nascondendosi «[…] dietro il linguaggio dei “diritti” e dell'”inclusione”, apparentemente inosservati da tutti, tranne da pochi». Uomini che vede «[…] non solo ottenere l’accettazione nella conversazione mainstream, ma iniziare a fare da base alla politica effettiva del governo».
È molto preoccupata, Jenny Holland, «[…] dal numero di autoproclamati sostenitori dei diritti delle donne che hanno abbandonato la realtà, a favore della menzogna secondo cui gli uomini possono essere donne, come se la femminilità fosse semplicemente un costume che si può scegliere di indossare, o qualcosa che può essere acquistato, insieme alla chirurgia plastica».
Uomini trans nello sport e nelle carceri femminili
Si tratta dei casi in cui uomini transgender che si dichiarano donne partecipano alle competizioni sportive femminili, Olimpiadi incluse, girando tranquillamente negli spogliatoi delle femmine, vincendo premi e record ed escludendo le ragazze per esempio dalle borse di studio dei college statunitensi, cui avrebbero potuto aspirare per meriti sportivi.
La Holland cita però un caso ancora più serio e preoccupante, vale a dire quello dei detenuti trans nelle carceri femminili, quegli stessi che falsano e sballano le statistiche, determinando politiche per la sicurezza dei cittadini basate su dati inventati, ma soprattutto mettendo in pericolo la privacy, la salute, la vita delle detenute donne costrette a convivere con gli uomini, nelle stesse celle, negli stessi gabinetti, nelle stesse docce. La giornalista dà voce a questo proposito ad Amber Jackson, detenuta nel carcere femminile chiamato California Institute for Women (CIW), dove si trova a vivere accanto a uomini con anatomia maschile completa, che però si dichiarano donne e hanno pertanto il diritto di stare dove stanno. «Puoi definirti “donna” quanto vuoi», afferma la Jackson, «ma quando c’è un uomo, con un pene, che funziona come è stato progettato per fare, beh, questo in una doccia comune di un carcere femminile è un problema».
E l’Italia?
A quanto pare, le uniche sacche di resistenza a tale deriva contro le donne e contro il femminile sono le femministe radicali, rappresentate in Italia dalle RadFem, che si oppongono fieramente alla definizione di TERF, «femminista radicale trans-escludente», che il pensiero LGBT+ affibbia con disinvoltura a qualunque donna osi affermare che gli uomini, pure transgender, non sono donne.
Il pensiero che vuole a Sanremo Drusilla Foer, che elegge il consigliere Egisto Marcasciano, del quale a tutti è evidente e chiarissimo il sesso e che al di fuori delle competizioni elettorali si fa chiamare «Porpora» e si veste da drag queen, come presidente della commissione per le Pari opportunità del Comune di Bologna, e che impone le toilette arcobaleno nelle scuole di provincia.
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