Last updated on marzo 21st, 2022 at 11:00 am
Da secoli gli spazi relax gli spogliatoi e le docce femminili sono stati luoghi dove ragazze e donne si sono sentite al sicuro dagli sguardi maschili senza doversi preoccupare di venire sopraffatte da uomini più forti in ambienti intimi e privati. Erano luoghi dove il pudore veniva conservato e il corpo rispettato. Ma tutto questo è cambiato da quando l’ideologia del radicalismo LGBT+ costringe un numero sempre maggiore di istituzioni private e pubbliche a permettere a maschi che si “identificano” come femmine, anche quando non si siano sottoposti a interventi chirurgici e conservino la propria anatomia, di usare tali stutture esclusive.
Di norma le ragazze e le donne non hanno il coraggio di denucniare questa ingiustizia palese per paura che l’aggressività transgender le tacci di “transfobia” e le cancelli dai social media, le ostracizzi da amici e vicini, e le faccia addirittura licenziare dal lavoro. Del resto, quando la professoressa Kathleen Stock, dell’Università del Sussex, di Brighton, di sinistra e lesbica, ha osato difendere la femminilità contro il radicalismo transgender, è stata così tanto minacciata da essere costretta ad abbandonare il proprio posto di lavoro. Ed è stotto gli occhi di tutti lo stigma pubblico che ha colpito la scrittrice inglese, pure femminista J.K. Rowling per avere allo stesso modo difeso la femminilità.
Ma ora una donna si leva coraggiosamente, anche se anonimamente, contro questa invasione della privacy femminile. Nell’Università della Pennsylvania, a Filadelfia, un maschio che si identifica come femmina, «Lia» Thomas, è stato autorizzato a gareggiare nella squadra di nuoto femminile della scuola, utilizzando spogliatoi e docce femminili, nonostante mantenga la sua propria maschile, cosa che è motivo di profonda angoscia per le nuotatrici del team. Come riportail quotidiano britannico Daily Mail, un’atleta della squadra ha dichiarato: «la cosa è certamente imbarazzante, perché Lia conserva ancora parti del corpo maschile ed è ancora attratta dalle donne».
Ma le proteste non sonos ervite a nulla: «Diverse nuotatrici hanno sollevato la questione, più volte. Ma in pratica ci è stato detto che non possiamo allontanare Lia dallo spogliatoio e che non c’è niente da fare: fondamentalmente dobbiamo adeguarci e accettare la questione, oppure smettere di usare il nostro spogliatoio».
Ingiustizia e malessere sono palpabili. «»È davvero sconvolgente, perché Lia non sembra preoccuparsi di come si sentano le altre», dice l’atleta. «Noi 35 dovremmo accettare di starcene a disagio nel nostro spazio e nel nostro spogliatoio a cuasa di quel una sola persona vuole. [..]. La scuola è stata così occupata ad assicurarsi che Lia stia bene, e a fare di tutto per lei, che non ha pensato affatto a noi altre. […] Sembra proprio che […] chi c’era qui prima che Lia arrivasse non conti nulla».
Perché la nuotatrice che ha denunciato il caso «Lia» resta anonima? «È pieno di codardi che evitano ogni conflitto», dice, «o che temono di essere guardati nel modo sbagliato. […] Se la questione andasse avanti, potrei anche protestare in modo formale, ma ho paura. Temo i miei potenziali datori di lavoro mi cerchino poi su Google e, vedendo i miei commenti, mi giudichino transfobica».
E così la legittima proccupazione di ragazze e donne viene ignorata.
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