Last updated on Luglio 8th, 2021 at 05:55 am
Per la generazione dei boomer la parola Chicco – oltre a riverberare immagini di ciucci e biberon, visione stereotipata della prima infanzia, ormai rifiutata dalla generazione delle mamme “naturali” – viene associata inevitabilmente allo slogan «dove c’è un bambino». Come sottofondo all’immagine di una donna soddisfatta, vicino al suo bambino, la voce fuoricampo recita «dove c’è una mamma, dove c’è un papà, dove c’è amore… dove c’è un bambino».
Venti secondi esatti per raccontare una storia: una donna che si definisce “innamorata”, un bimbo sorridente e una mano (decisamente maschile) che prepara il biberon, insomma una famiglia. Certo, è ormai acclarato che l’allattamento al seno è “fortemente raccomandato” almeno per i primi sei mesi di vita del nascituro, persino da parte del ministero della Salute italiano, ma la Chicco vende i propri prodotti e poteva farlo con relativa serenità in un secolo in cui era persino possibile parlare di allattamento al seno senza essere tacciati di eccessiva “eterosessualità”, traumatica per certe “minoranze”. Correvano gli anni 1990 e la dicitura «allattamento al petto» non era ancora necessaria, visto che di «papà cavallucci» ancora non si sentiva parlare.
Catapultati nel 2021, le cose sono decisamente cambiate: la Chicco ha ben capito che ad aprire il portafogli non sono i bebè, bensì chi li ha generati, ecco che nasce #mammaE… tutto ciò che desideriamo. Lo scenario cambia: nello schermo diviso a metà (stile intervista doppia) si vede una donna che si allena per una corsa, e la stessa donna che fa yoga per la gravidanza. Un’altra donna studia progetti in un grande e lussuoso ufficio da una parte, fornita di pancione disegna una cameretta nell’altra; l’ultima, pianista, suona sul pianoforte da una parte, ammira un’ecografia dall’altra.
Lo schermo si apre: compare finalmente un bimbo addormentato in braccio alla mamma architetto, il contesto non è la cameretta più bella del secolo, bensì uno studio, evidentemente un luogo di lavoro. La voce di sottofondo? Non più donne innamorate, ma donne che si impongono: «siamo cresciute con l’idea di inseguire i nostri sogni, siamo cresciute con l’ambizione di costruire i nostri progetti di vita, siamo cresciute con il desiderio di coltivare le nostre passioni. E adesso ci chiedete di fare una scelta? Non vogliamo scegliere chi diventare, perché vogliamo essere noi stesse e mamme».
Rilievo numero uno: Chicco non arriva più dove c’è un bambino, Chicco è dalla parte delle “donne”… sole. Non c’è uomo, compagno. Nemmeno – con quel che costa dirlo – una compagnia purchessia… è la donna da sola che sogna, ambisce, desidera… è la donna da sola ad avere passioni da coltivare e progetti da perseguire. Le immagini suggeriscono forza – persino a livello atletico – indipendenza e leadership – la donna architetto dirige evidentemente il lavoro di un gruppo di persone – autonomia e passione – la pianista suona per sé e non mostra l’ecografia, ma la ammira tra sé e sé. Questo vuole la narrazione contemporanea: la donna non ha bisogno di nulla e di nessuno, è forte, realizzata, compiuta nelle sue attività e nelle sue aspirazioni. Finalmente libera, o ancora più inevitabilmente sola?
Secondo rilievo: «ci chiedete di fare una scelta?». Chi son questi “voi”? Probabilmente gli stessi «thay said» del video di Cynthia Nixon, quello stereotipo del “maschio bianco arrabbiato”, bersaglio fin troppo facile «per tutto ciò che è frustrazione e fatica nel non riconoscere le differenze, lo specifico femminile e lo specifico maschile». C’è un “qualcuno”, probabilmente qualcuno di molto simile ad un orco che dall’alto di una autorità che – c’è bisogno di dirlo? – si è preso con la violenza, vorrebbe costringere le donne a «scegliere chi diventare». Ma la scelta della donna non è sempre stato un valore assoluto? Non è proprio in nome della “libertà della donna” che il quotidiano sacrificio della vita innocente viene sbandierato come “segnale di civiltà”?
Ed ecco il vero punto della questione: «non vogliamo scegliere chi diventare, perché vogliamo essere noi stesse e mamme». Indubbiamente i pubblicitari della Chicco un qualche retroterra filosofico lo possiedono – se pure, ci sia concesso, un po’ confuso – ed ecco una perla di verità che, cacciata dalla porta, rientra prepotentemente dalla finestra senza chiedere il permesso: esiste l’essere, ed esiste il divenire. Ed il valore della persona, la sua dignità, non sta nello scegliere quel che crede di poter fare di sé, “diventando” quel che di volta in volta le salta in mente. Il valore dell’io sta in ciò che “è”, in quell’essere che si attualizza, nel bene che da potenza diventa perfezione dell’essere. È bene per il seme diventare albero, è bene per la donna diventare madre: ed ecco, qui ci tocca riesumare il lapis blu per sottolineare il grave errore del pubblicitario/filosofo, quella “e” che disgiunge nell’origine, tentando di ricucire nelle conseguenze, il “noi stesse” dal “mamme”. La maternità non è una “aggiunta” all’essenza della donna, non è un corollario che si applica – come il pancione posticcio nelle nostre bambole di bambine – alla bisogna, seguendo il desiderio della donna. La maternità è un bene per la donna tanto quanto è un bene per il grande assente del nuovo spot della Chicco: il bambino. È nella pancia, è nella fotografia, è addirittura tra le braccia della rampante donna architetto – ovviamente pacificamente addormentato, bello come il sole e sicuramente profumato. Ma non “esiste” in sé, non ha consistenza, non è altro che uno dei “sogni”, “progetti”, “passioni” di quella donna, che ha altre mille cose da fare, da pensare, da sognare, mille “cose”, tra cui non vuole scegliere: vuole il bambino tanto quanto la gara di corsa, uno studio ben avviato e una sonata al pianoforte.
Niente paura, però: se lo spot solleva, almeno, una riflessione tra essere e divenire, il sito creato ad hoc riporta la questione sui “retti binari” del mainstream: «siamo per la libertà: di diventare chi si vuole e di scegliere chi essere. Per questo vogliamo sostenere le donne e tutto quello che vogliono essere. Per poter essere davvero libere di diventare quello che hanno sempre sognato». Con una incredibile capacità di autocontraddizione, la Chicco torna a suggerire che la donna «deve poter scegliere cosa diventare»
Per fortuna, a seguire, nell’intervista doppia alla spadista Mara Navarria – dove, non si può non far notare, di nuovo l’unità della persona è recuperata a posteriori, dopo averne suggerito una immagine “spezzata a metà” – torna un barlume di verità: la vittoria al mondiale è festeggiata domandando all’allenatore di “strisciare” per regalare all’atleta una borsetta costosa. Finalmente un riferimento ad una “cosa” che, giustamente, una donna “sogna, progetta, desidera”: il giusto oggetto per una preferenza puntuale, assolutamente legittima da soddisfare…
Qualcuno dovrebbe ricordare alla Chicco che le “cose” di cui si occupa sono gli articoli per l’infanzia, quel che, cioè, una donna diventata mamma e un uomo diventato padre, iniziano a desiderare… per il loro bambino.