Last updated on marzo 9th, 2020 at 03:31 am
Che la data dell’8 marzo sia un falso storico, ormai si sa. Il famoso o famigerato incendio nella fabbrica Cotton (o Cottons) di New York, nel 1908, che avrebbe visto la morte di un centinaio di operaie rinchiuse come topi in trappola, si verificò in realtà il 25 del mese, ma anni dopo, nel 1911, e pure in un altro luogo, e le vittime furono tragicamente numerose, donne, e uomini, assassinati dalle condizioni di lavoro dell’epoca e da “padroni” senza scrupoli.
L’8 Marzo invece affonda le radici in un terreno del tutto differente: agli antipodi, si direbbe.
Vi fu un periodo che si potrebbe definire preparatorio, fra il 1907 e il 1916, in numerosi Paesi fra gli Stati Uniti d’America e la vecchia Europa, in cui si incontrarono e scontrarono molte posizioni che in modi diversi sottolineavano la necessità e l’opportunità per le donne di accedere a molti diritti già garantiti agli uomini, uno su tutti il diritto di voto, e che videro schierarsi su fronti opposti le operaie socialiste capitanate da Rosa Luxemburg (1871-1919) e da Clara Zetkin (1857-1933) contro le femministe borghesi à la Emmeline Pankhurst (1858-1928).
L’8 marzo del 1917 a San Pietroburgo le donne guidarono una manifestazione che chiedeva e implorava la fine della Prima guerra mondiale (1914-1918). I cosacchi chiamati a reprimere la protesta batterono la fiacca e fu forse questo uno dei motivi che permise il susseguirsi di manifestazioni contro zar e zarismo, fino a giungere alla «rivoluzione di febbraio» (8-16 marzo, secondo il calendario gregoriano). Da lì in poi, di nuovo, è storia.
Anno 2020, Italia: le femministe italiane non si piegano al mainstream imperante e chiedono altro, ben altro rispetto a quattro rametti di mimosa (che, diciamolo, ha spesso un odore sgradevole) e una scatola di cioccolatini. Nasce “In radice – 8 marzo per l’inviolabilità del corpo femminile” e ne parla la giornalista Marina Terragni: molte sensibilità differenti si trovano sotto un unico vessillo per appoggiare, proteggere e sostenere la femminilità, le donne e il loro corpo. Solo le donne possono essere madri, solo le donne possono essere lesbiche. Per dire. Checché ne pensi chi alla ragione non si piega e reclama uguali “diritti” per tutti.
Perché la ragione lo dice, e gli uomini e le donne sono diversi, che si sia d’accordo oppure no, e negarlo è inutile e fallace. Molte altre e migliori sono le rivendicazioni, in realtà, simili a quelle di tutte le donne, benché definirle rivendicazioni non piaccia a chi scrive e a forse neppure a chi legge: si parla di diritti. Per esempio: no a ogni riduzione a merce del corpo femminile, dunque no all’utero in affitto e al mercato dei gameti umani; no alla manipolazione chirurgica e alla farmacologizzazione dei corpi di bambine e bambini dal comportamento non conforme agli stereotipi di genere; lotta alla prostituzione, alla tratta e allo sfruttamento sessuale di donne e di bambine/i; no all’abuso del corpo femminile per vendere merci; no allo pseudodiritto all’assistenza sessuale; mobilitazione permanente contro il femminicidio.
Cosa si dovrebbe aggiungere? Questo è il femminismo, non lanciare un reggiseno, suvvia.
Anno 2020, Stati Uniti d’America, cambio di scenario e di panorama. Enter Cynthia Nixon, star della tivù e del cinema grazie all’interpretazione del personaggio di Miranda Hobbes nel celeberrimo Sex and the city, esponente politico Democratica in corsa a New York nel 2018 per la carica di governatore (poi sconfitta da Andrew Cuomo nelle primarie di partito), lesbica dichiarata, “sposata” con Christine Marinone “con cui” ha avuto un figlio, attivista LGBT+. Il suo video, postato sul sito del magazine femminile Girls, è divenuto virale.
È bellissimo. «Be a lady, they said»: patinato il giusto, drammatico il giusto, sfrontato il giusto (Donald J. Trump fa le facce e Papa Francesco dà il famoso schiaffetto alla signora cinese che lo strattona…). Tutto giusto. Non si può obiettare perché è tutto vero: alle donne, mondo occidentale, anno 2020, viene chiesto di essere “tutto”. Non troppo in carne, non troppo magra, bella, truccata, stupenda come una star del cinema eppure natural, spontanea. Nessuna fatica, appollaiata sul tacco 12, nessun ripensamento, dopo la liposuzione, nessuna ansia, lasciando a casa un bebè di pochi mesi per correre al lavoro, performante come un uomo.
Eppure… «Don’t talk too much»: non parlare troppo, recita la voce che accompagna il video. Perché potrebbe scapparti la verità?, si vorrebbe aggiungere. Perché è tutto sbagliato. Perché non è questa, la verità: non è verità accusare il “maschio tossico”, sempre e comunque, perché quello è un orco, non un uomo, e la sua virilità è perduta nella violenza. Il “maschio bianco arrabbiato” è una sovracostruzione squisitamente politica che serve a individuare un bersaglio (facile, bisogna ammetterlo) per tutto ciò che è frustrazione e fatica nel non riconoscere le differenze, lo specifico femminile e lo specifico maschile. Un uomo che fa, una donna che accoglie. Certo che vota, ci mancherebbe, ma occorre essere seri: non è questo, il punto, bensì il riconoscimento della sua assoluta, innata specificità di femmina.
Buon 8 Marzo.
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