Last updated on Dicembre 19th, 2021 at 05:38 am
Sul fronte dell’identità di genere, un passo avanti che ha del sorprendente e dell’inquietante è stato compiuto in Nuova Zelanda. Nel Paese oceanico l’autocertificazione del cambio di sesso era già possibile dal 2018, ma con un vincolo assai vistoso: dimostrare di avere ricevuto i trattamenti sanitari ormonali e chirurgici del caso. Dopo appena tre anni, però, il parlamento neozelandese ha fatto un ulteriore salto di qualità: chiunque lo voglia, a prescindere da qualsivoglia intervento sul proprio corpo, potrà comunicare all’anagrafe il passaggio dal genere maschile a quello femminile o viceversa. Il disegno di legge è stato approvato all’unanimità, in quello che è forse il Paese più apertamente LGBT+ del mondo.
A volere fortemente l’innovazione è stata il ministro degli Interni, Jan Tinetti, che ha parlato di un «giorno di cui essere orgogliosi» nella storia del Paese. Un cambiamento che «farà davvero la differenza per i neozelandesi transgender, non binari, LGBT e intersessuali», e che, secondo il ministro, sosterrà i giovani, dando loro «autorità sulla propria identità», oltre a promuoverne la «salute mentale» e il «senso di benessere».
Addirittura la deputata dei Verdi, Elizabeth Kerekere, rappresentante dichiarata delle istanze LGBT+, ha accolto il voto favorevole con lacrime di commozione, dicendosi però delusa dal fatto che la legge non preveda possibilità di applicazione a immigrati, rifugiati o richiedenti asilo. Altra categoria esclusa, almeno per il momento, sono i neozelandesi nati all’estero, ma il ministro Tinetti si è impegnata a rimuovere anche questo ostacolo.
Se in parlamento non c’è stata dunque storia, fuori dall’agone politico si è registrata invece qualche complicazione in più. Grazie alle femministe.
Per esempio il gruppo femminista «Speak Up for Women», che si è sempre opposto al disegno di legge, fin dalla sua presentazione, nel 2018. Un’ostilità, questa, costata peraltro cara alle femministe, etichettate come anti-transgender, alle quali è stato impedito di tenere eventi in vari luoghi, tra cui la biblioteca municipale di Christchurch. Inoltre la portavoce del Partito Nazionale per le Donne, Nicola Grigg, ha espresso preoccupazione per l’«impatto sociale» ai danni di persone che «sentono di non essere più in grado di esprimere le proprie opinioni». A replicare è stato ancora una volta il ministro Tinetti che ha tagliato corto: «La misoginia trans è sempre misoginia», ha detto il ministro, mettendo così sullo stesso piano la questione femminile e quella omosessuale.
Comunque la nuova legge neozelandese non entrerà in vigore subito. Dovranno trascorrere diciotto mesi, durante i quali il governo si consulterà con le comunità “arcobaleno” per garantire che la normativa sostenga chi ne usufruisce. Dovranno essere inoltre individuate le persone idonee a rivolgere i questionari ai giovani, assicurando che i certificati di nascita includano le opzioni non binarie, determinando i requisiti per chiunque cerchi di modificare il proprio sesso più di una volta.
Questa innovazione, accolta a furor di popolo, spicca anzitutto per un paradosso molto evidente. Approvata per bypassare la burocrazia medica e tribunalizia, la nuova legge rischia di riprodurre ulteriori complicazioni legali nel momento della produzione dei nuovi certificati. Inoltre, non esistendo un limite al cambio di sesso né in una direzione, né nell’altro – dal momento in cui si potrà farlo più volte nella vita – gli uffici pubblici e i tribunali si ritroveranno più affollati e indaffarati di prima. Se in base al principio del self id, a chiunque sarà risparmiato il calvario della transizione ormonale e chirurgica, quante truffe potranno verificarsi in forza di questa presunta libertà in più? Quanti uomini villosi e barbuti potranno dichiararsi anagraficamente donne, introducendosi arbitrariamente in wc e spogliatoi femminili o gareggiando in competizioni femminili, e tra l’altro vincerle facile?
Insomma, la riforma pro-gender neozelandese rappresenta l’acuto di un dibattito che ormai è globale. Il Regno Unito è l’epicentro di uno scontro antropologico e di un’opinione pubblica spaccata in due, specie dopo l’ennesima sentenza sul caso Tavistock. Nel Messico, cattolicissimo e macho, è stata la Corte Suprema a sancire il diritto dei minori a cambiare il proprio sesso anagrafico. Se però, da un lato, la psichiatria inizia a fare dei passi indietro sulla transizione di genere e anche le testimonianze dei cosiddetti de-transitioner continuano ad aumentare in modo esponenziale, la maggior parte delle legislazioni e delle magistrature nazionali sembrano andare tutte in una direzione: quella dell’essere umano fluid, inconsistente e indefinito sul piano psico-sociale e sessuale ma, proprio perché fragile e manipolabile, riducibile a cosa o a schiavo, quindi estremamente “redditizio”.
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