In Italia i Comitati per il No ai referendum previsti in delibera nella Corte costituzionale il 15 febbraio sono nati il 21 dicembre, al fine chiaro e dichiarato di opporsi a un mostro a due teste che, come una bestia mitologica, vuole sbranare corpi e psiche, sacrificando le persone sull’altare dell’ideologia di morte più spinta.
Se il Comitato per il No all’omicidio del consenziente contrasta un referendum che, sotto non troppo mentite spoglie, sempre più si qualifica come pro-eutanasia, il Comitato per il No alla droga legale ingaggia invece una battaglia non solo contro l’accesso comodo e disinvolto alle droghe cosiddette leggere, che come noto in realtà non esistono, bensì, e ben più seriamente, contro la produzione di stupefacenti. Una pianticella nell’orto di casa, una sul balcone, soprattutto piantagioni vere e proprie gestite certamente non da nonnine in ciabatte, ma come si può facilmente immaginare da una malavita organizzata agguerrita e farabutta, cui la pena solo pecuniaria prevista farà un baffo. Anzi, neppure quello: la farà pagare alla clientela, con un semplice quanto ovvio aumento dei prezzi del prodotto in vendita.
Angelo Vescovi, presidente del Comitato per il No alla droga legale e direttore scientifico dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e dell’Istituto Mendel di Roma, ne ha parlato in una intervista al quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, del 20 gennaio, concentrandosi soprattutto sul primo punto a tema, la liberalizzazione delle droghe cosiddette “leggere”.
L’esordio è lapidario: «Dal punto di vista scientifico, liberalizzare il consumo di sostanze psicoattive mi sembra una pura follia. Soprattutto verso le persone più fragili, per età o condizioni sociali o proprie».
Né, giustamente, Vescovi cede di un passo mano a mano che il discorso si fa più approfondito: «Trattandosi di sostanze neuroattive, cioè che agiscono sul sistema nervoso centrale (al punto tale che gli stessi proponenti del referendum suggeriscono di utilizzarle come farmaci per legittime terapie), è paradossale chiederne la liberalizzazione. Sono sostanze (cioè farmaci) che con varie gradazioni di intensità procurano dipendenza, in primis psicologica, ma anche biochimica e neurochimica».
Nel campo della neurofarmacologia il meccanismo è accertato, e il dottor Vescovi nell’intervista lo spiega in modo chiarissimo: «[…] qualunque sostanza direttamente attiva sul cervello (cioè che ha una azione biochimica diretta sulle cellule nervose) tende a creare la dipendenza, proprio per il modo in cui è stato creato il cervello. La dipendenza è prima a livello recettoriale, dove la sostanza agisce, poi a livello di reti nervose. Queste sostanze vanno a influenzare il “sistema di appagamento” (reward system) per cui fanno provare una sensazione di piacere, legata all’appagamento che tende – per sua natura – a dare assuefazione». E continua: «Dopo due o tre assunzioni però, il sistema di recettori – su cui il farmaco agisce – tende a reagire di meno, va in adattamento: quindi il soggetto aumenta sempre più la dose. Fino al punto in cui, se non assume la sostanza, il sistema ne ha bisogno e scatena la crisi: questa è la dipendenza da oppiacei, di tipo recettoriale, fisica».
Alla domanda se si tratti di un discorso “morale”, quasi “confessionale”, Angelo Vescovi chiude in modo preciso e chirurgico come ha iniziato: «No, puramente logico, questa richiesta di liberalizzare le droghe è illogica a livello di scienza, ed è una gigantesca bugia per la società». Una gigantesca bugia.
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