«Il popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga». Con queste parole, tratte dalla selezione dei suoi aforismi pubblicata in italiano con il titolo In margine a un testo implicito, il pensatore colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) non intendeva «droga» in senso letterale, ma oggi che l’onda della depenalizzazione dell’uso della cannabis sta travolgendo l’Europa la sua boutade ammonisce e allarma.
Infatti, secondo quanto riportato dal quotidiano britannico The Telegraph, il sindaco di Londra, Sadiq Khan, si starebbe muovendo proprio in questa direzione. In alcuni quartieri della capitale britannica (solo lì, per ora), ovvero Lewisham, Bexley e Greenwich, la polizia non arresterà i possessori di cannabis, di ketamina o di speed colti in flagrante. Verranno invece avviati a corsi di ricupero analogamente ai trasgressori che superano i limiti di velocità.
La Scozia si è del resto già mossa nella medesima direzione, peraltro scontrandosi con lo stesso governo britannico, secondo il quale valgono invece soltanto le maniere forti. Ma quel che davvero qualifica l’iniziativa del sindaco Khan è l’idea che (così ha reso noto il suo uffico) «l’uso delle droghe leggere [è] prevenibile, ma non inevitabile».
Il punto è ancora una volta, cioè, l’idea che alcune droghe siano «leggere», cioè meno pericolose per la salute fisica e psichica di chi le assume, dunque per l’intera società, e quindi in fin dei conti tollerabili, ovvero socialmente e culturalmente accettabili.
Ma non è affatto così. Anzitutto, per restare al caso londinese, perché i tre quartieri della capitale britannica oggetto della sperimentazione verranno invasi da droghe, come appunto la ketamina e lo speed, che non hanno alcuna conseguenza «leggera» dal momento che provocano effetti devastanti, quindi perché la stessa cannabis è ormai una sostanza psicoattiva potente e imprevedibile. Le importanti conclusioni cui giunge uno studio scientifico, rimasto semisconosciuto forse perché pubblicato il 30 dicembre 2019, lo testimoniano senza ombra di dubbio, evidenziando come le cosiddette canne facciano davvero male.
Si tratta di un lavoro, frutto di ricercatori italiani, che misura una molecola di THC fino a oggi sconosciuta, il Delta 9 Tetraidrocannabiforolo (THCP), molecola che ha una potenza fino a 33 volte superiore a quella del THC. Questo nuovo fitocannabinoide della cannabis sativa, scoperto assieme ad altri cannabinoidi grazie alla spettrometria di massa, potrebbe spiegare gli effetti psicotropi registrati ma altrimenti inspiegabili a fronte di bassi livelli di THC.
«L’importanza di questa scoperta», affermano gli autori dello studio, «risiede nel fatto che finora nessuno ha mai cercato il THCP nelle diverse varietà di cannabis. Il prossimo passo sarà cercare la concentrazione di questi cannabinoidi in altre varietà per scoprire perché alcune varietà con basso livello di THC presentino proprietà psicotrope estremamente elevate. E una risposta potrebbe essere il THCP».
Parlare di cannabis, «la pianta dalle mille e una molecola», senza conoscerne davvero il contenuto è molto pericoloso per tutti, anche per chi ne faccia uso terapeutico sotto controllo medico, proprio perché questi cannabinoidi sono stati scoperti in un preparato medicinale prodotto dall’Istituto Chimico Farmaceutico di Firenze. Qualche giorno dopo la pubblicazione di questo studio, Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano e membro del Consiglio di amministrazione dell’Agenzia italiana del farmaco, ricordava che «la scoperta dimostra che sappiamo ancora così poco sulla cannabis e che occorrono nuove e ulteriori valutazioni prima di consentirne la coltivazione e l’uso. Per questo ritengo che l’ultima sentenza della Cassazione possa rappresentare un pericolo per la salute». Figuriamoci un referendum.
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