L’acido cannabigerolico (CBGA) e l’acido cannabidiolico (CBDA) potrebbero legarsi alla proteina spike del CoViD-19, impedendone l’ingresso nelle cellule e contribuendo così a prevenire l’infezione. È quanto affermano alcuni ricercatori affiliati alla Oregon State University nel rapporto sulla ricerca Cannabinoids Block Cellular Entry of SARS-CoV-2 and the Emerging Variants, apparso il 10 gennaio sulla rivista accademica Journal of Natural Products.
«Biodisponibili per via orale e con una lunga storia di uso umano sicuro, questi cannabinoidi, isolati o in estratti di canapa, hanno il potenziale per prevenire e curare l’infezione da SARS-CoV-2», hanno scritto i ricercatori in un abstract dello studio.
«Questi acidi cannabinoidi sono abbondanti nella canapa e in molti estratti di canapa», ha aggiunto Richard van Breemen, nel pool del Global Hemp Innovation Center dell’Oregon State nel College of Pharmacy e del Linus Pauling Institute, «non sono sostanze controllate come il Thc, l’ingrediente psicoattivo della marijuana, e hanno un buon profilo di sicurezza negli esseri umani».
È possibile che la notizia susciti l’entusiasmo di qualche anziano hippy rientrato dall’India senza aver ancora trovato se stesso, o piuttosto più verosimilmente di chi nel nostro Paese stia cercando di liberalizzare il (non) liberalizzabile buttando a mare il Testo unico sugli stupefacenti per via referendaria, chiedendo l’abrogazione di articoli significativi. Come sottolinea sul sito web il Comitato per il no alla droga legale, sorto il 21 dicembre per contrastare tale tentativo, infatti, «il referendum sulla droga, presentato come una liberalizzazione delle cosiddette droghe leggere (definizione scientificamente inappropriata), apre invece alla libera coltivazione di ogni tipo di droga e al libero traffico di quelle c.d. leggere».
Tuttavia per quanto riguarda la ricerca di van Breemen, spiace deludere, quantomeno gli hippy, ma non si sta parlando in alcun modo di cannabis, di droghe “leggere”, di fumatine in compagnia con sballo annesso, alla doppia finalità di contrastare il CoViD e scordarsi nel contempo tutti gli effetti anche sociali ed economici della pandemia.
Qualora, infatti, l’efficacia dei farmaci derivati dalla canapa in relazione ai principi attivi CBGA e CBDA fosse dimostrata e il loro uso validato, l’impiego prevederebbe il protocollo metodologico consueto per ciò che, appunto, è un farmaco: patologia, diagnosi, terapia su prescrizione medica con quanto la farmacopea fosse in grado di preparare. Non, certamente, di farsi le canne per “curarsi” con il fai da te.
Ammesso e non concesso che non esistano o possano essere scoperti a breve farmaci che vantino la medesima efficacia contro il virus senza le controindicazioni dei fitocannabinoidi, rispetto ai quali la classe medica resta comunque sospettosa e vigile, come emerso anche durante la VI Conferenza nazionale sulle dipendenze che si è svolta a Genova nel novembre scorso. E pur senza aprire tutte le questioni etiche che si legano a questo tema, il crinale resta ugualmente scivoloso.
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