Stasera, dopo le 18:00, presumibilmente in tarda serata, il Parlamento Europeo discuterà del genocidio dei cristiani in atto, non da oggi, in Nigeria. Step timido, ma decisivo. Se infatti non si incomincia, non si andrà mai in alcun luogo, figuriamoci lontano. Il silenzio che circonda l’ecatombe nigeriana è una delle molte macchie sulla coscienza della politica internazionale; quindi, il primo passo di oggi va salutato comunque con favore. Certo, non è in discussione alcuna risoluzione e quindi non accadrà nulla di fatto. Ma, ancora, davvero meglio che nulla.
La Nigeria, infatti, lo merita. Lo afferma senza mezzi termini Ján Figeľ, uomo politico slovacco, già «Inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo fuori dall’Unione Europea», al centro di una controversia diciamo curiosa di cui «iFamNews» si è volentieri occupata, persino lanciando una petizione a favore del rinnovo del suo mandato da parte della Commissione Europea quando la Commissione Europea cercava di fare di tutto per guardare altrove.
«La Nigeria», mi dice Figel’, «è il Paese più grande dell’Africa e per questo i suoi molteplici e dolorosi problemi non debbono essere sottovalutati o ignorati dalla comunità internazionale. Gli attacchi sanguinosi e ripetuti contro le comunità cristiane da parte dei militanti islamisti debbono essere fermati e i crimini commessi debbono essere perseguiti dalle autorità dello Stato. Il presidente Muhammadu Buhari e il governo della Nigeria debbono mostrare di sforzarsi davvero per l’ottenimento della giustizia per tutti. La giustizia è infatti fondamentale per la dignità delle persone, per la pace, per la stabilità e per lo sviluppo sostenibile di questo importante Paese».
Il problema nigeriano è enorme, e il prezzo, carissimo, lo stanno pagando i cristiani. I motivi per cui i cristiani vengono colpiti sono tanti, di natura economica e di natura politica. Ma capita in Nigeria una cosa particolarmente antipatica: la religione, cristiana, delle vittime viene adoperata come scusa per celare mire di natura economica e politica, e al contempo i problemi di natura economica e politica tali sono per ragioni anche religiose. È ciò che «iFamNews» sta cercando di dire da lunedì, quando afferma che in Nigeria il cristianesimo, e la cultura che ne deriva, e la civiltà che ne nasce, è uno strumento di emancipazione vera e di progresso autentico in una regione e a fronte di forze che, proprio perché di questo sono convinte, ma vogliono ostacolare il processo virtuoso, massacrano i cristiani: colpevoli religiosamente e culturalmente.
Queste porte girevoli stanno piegando regioni e popoli interi, e fanno del tema «libertà religiosa» ancora una volta la necessità prima: libertà religiosa in sé come valore primario e libertà religiosa come alveo necessario alla politica buona.
«La continua persecuzione delle minoranze religiose e delle persone di fede nel mondo», mi spiega ancora Figel’, che ha toccato a lungo questa realtà grave con mano, «conferma l’urgenza di proteggere e di promuovere la libertà di credo a livello internazionale. Perché, purtroppo, milioni di persone sono private di questo diritto. L’Unione Europea deve quindi senza indugio ripristinare l’ufficio dell’“Inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo fuori dall’Unione Europea”».
Proprio ciò che Figel’ è stato, è stato egregiamente e anche «iFamNews» chiede sia ancora. Figel’ o altri della sua statura morale e professionale. Il problema resta infatti uno e uno solo: i perseguitati per la fede, perseguitati che non hanno protezione.
Commenti su questo articolo