Last updated on Giugno 8th, 2022 at 08:41 am
Dopo quanto è successo domenica a Owo, durante la celebrazione della Messa della Pentecoste, torno nuovamente a parlare, con le lacrime agli occhi, della mia amata Nigeria, terra intrisa del sangue di martiri cristiani.
Domenica sono state almeno 50 le vittime dell’attacco. Come confermato dalla diocesi di Ondo, nessun sacerdote è stato rapito. Il presidente della Conferenza episcopale nigeriana, monsignor Lucius Iwejuru Ugorji, arcivescovo di Owerri, scioccato dalla notizia, ha dichiarato che «nessun luogo sembra essere più al sicuro nel nostro Paese, nemmeno i sacri recinti di una chiesa. Condanniamo con la massima fermezza lo spargimento di sangue innocente nella Casa di Dio. I criminali responsabili di questo atto sacrilego e barbaro dimostrano mancanza del senso del sacro e di timore di Dio».
Ora, il mainstream incolpa le dispute territoriali, la povertà e le disuguaglianze sociali. In realtà conflitti come quello che si consuma da tempo in Nigeria, dimenticati o persino occultati dalla stampa internazionale, hanno i cristiani come obiettivo principale.
Perché i riflettori adesso sono puntati anche sul governo centrale, che nuovamente si fa trovare impreparato di fronte ad azioni simili. Lo stesso mons. Ugorji dice che il governo «deve assumersi le responsabilità primarie di garantire la vita e la proprietà dei propri cittadini».
Ma quel che segue a questi omicidi è solo il silenzio, del governo nigeriano e di troppi altri.
Nel gennaio 2020 il Christian Solidarity International ha evidenziato il pericolo di genocidio che la Nigeria corre, invitando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a mobilitarsi. Dopo due anni è però palese come quel monito sia caduto nel nulla.
Quello che sta accadendo nella mia Nigeria è infatti un eccidio che sta sterminando non solo le persone, ma anche la religione, i valori e le tradizioni. Farebbe sorridere, se il tutto non fosse tragico, chi ora sostiene che la motivazione principale degli attacchi violenti ai cristiani sia il clima, i suoi mutamenti, la mancanza di terre per i pascoli e la scarsità di risorse idriche, e quindi il sovrappopolamento.
Quello in atto viene descritto come uno scontro tra agricoltori e allevatori. Si parla dei pastori Fulani, l’etnia nomade dell’Africa occidentale dedita per lo più a pastorizia e commercio, che in realtà sono ben diversi da semplici allevatori. Si tratta infatti di milizie assoldate e armate che assalgono i villaggi, che distruggono le chiese e che falcidiano migliaia di cristiani. Sono meri strumenti di un potere bramoso di ricchezze del sottosuolo e sono attivi soprattutto nelle zone centro-meridionali della Nigeria.
Per chi li paga e li scatena il cristianesimo è un ostacolo da abbattere: un fattore e un mezzo di sviluppo culturale e sociale del tutto fastidioso, un ostacolo al controllo della popolazione locale e un intralcio all’arricchimento veloce a spese degli altri.
Ora, quale sia il volto del potere famelico che da troppo tempo dilania il Paese è evidente.
Boko Haram prima, gli affiliati locali all’ISIS poi, i Fulani ora, certo. Ma il manovratore vero sta dietro, un po’ più in alto di questa semplice manovalanza. Non si dice, ma è sotto gli occhi di tutti. Resta infatti sempre vero che, affinché il male trionfi, è sufficiente non fare nulla. Basta lasciar fare, basta parlare, persino denunciare.
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