Last updated on Agosto 5th, 2021 at 04:02 am
Si chiude oggi, negli spazi del MUDEC – Il museo delle culture, a Milano, la mostra Robot: The Human Project. Pensata inizialmente per essere inaugurata nell’autunno 2020, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia l’esposizione invece ha aperto i battenti il 1° maggio 2021 e nei tre mesi dell’apertura ha suscitato un buon interesse nel pubblico che l’ha visitata.
L’esposizione
La mostra è moderatamente immersiva, adatta ai ragazzi e agli adulti ma anche, se guidati, ai bambini. Il suo punto di forza consiste principalmente nell’excursus storico ampio che essa offre, dai primi rudimentali congegni meccanici dell’antichità, agli automi in miniatura cinquecenteschi, alle marionette semoventi dall’aspetto invero un poco inquietante, via via sino alle ultime frontiere della robotica e dell’intelligenza artificiale, finalizzate queste ultime a un sempre maggiore supporto delle abilità e delle competenze umane. Si pensi agli arti artificiali, per esempio, oggi sempre più sofisticati e anche sempre più compenetrati con il corpo, grazie alla collaborazione fra tecnologia e neuroscienze.
La domanda della bioetica
Proprio questo è ciò che suscita l’interesse di «iFamNews», che spesso si interroga su un concetto fondamentale nel campo della bioetica: se e quanto sia auspicabile intervenire, anche con scopi apparentemente buoni e finalizzati al bene, laddove entrino in gioco aspetti fondamentali della vita umana.
Ovvio, per tornare all’esempio di prima, che si consideri con favore la creazione di una mano “bionica” che sostituisca un arto amputato e che sia possibile muovere con input che provengono direttamente dal cervello, grazie all’impianto di interfacce neurali per nervi periferici, dove «un elettrodo neurale permette di creare una porta di comunicazione bidirezionale tra un dispositivo artificiale», un arto superiore, per proseguire l’esempio, «e il sistema nervoso umano», come recita uno dei pannelli esposti. Non altrettanto ovvio, invece, laddove la creazione di uteri artificiali, originariamente studiata per fornire chance maggiori di sopravvivenza ai piccoli ampiamente prematuri che per un motivo qualsiasi non possano continuare la gestazione nel grembo materno, sia invece finalizzata alla “produzione” di esseri umani al di là e senza bisogno del corpo della donna. Muovendo, al contempo, somme di denaro considerevoli.
Un passo ulteriore
Un altro fronte aperto è quello della cosiddetta «augmentazione», il potenziamento, cioè, del corpo umano oltre i limiti, appunto, umani: maggiore velocità, maggiore forza, maggiore precisione, una vista più acuta, un udito più fine… non rispetto alla media delle persone, o anche a qualcuno di particolarmente dotato, bensì rispetto a quelle che sono per l’uomo le naturali potenzialità. Gli appassionati di fantascienza saranno certamente in grado di snocciolare numerosi riferimenti letterari o cinematografici in cui scenari di tale genere sono rappresentati con maggiore o minore realismo. Tutta la mostra, del resto, è percorsa da questo filone culturale: «[…] dai personaggi di Asimov a Wall-E, da Frankenstein a Jeeg Robot, da Metropolis a Blade Runner, attraverso filmati, fumetti manga e maquette dei supereroi».
Il transumanesimo
È qui che entra in gioco il concetto complesso di transumanesimo, di un uomo al di là dell’uomo, della compenetrazione fra l’uomo e la macchina, di un uomo “più” uomo dell’uomo che l’uomo prescinde, e prescinde pure Dio. Robot semovente, dotato forse di sentimenti? Dotato di immortalità? Anche di questo «iFamNews» si è occupato in passato, l’invito è a rileggere chi ne ha scritto così bene e in modo tanto approfondito.
Ciò che colpisce nell’esposizione milanese, in particolare, è l’assenza quasi completa di un giudizio su temi tanto scottanti. Quasi, però. Vi sono due particolari che richiamano ad altro, che fanno risuonare l’eco di qualcosa di più: più profondo, più articolato, più complesso, e che non lascia per nulla tranquilli.
Il primo è rappresentato da un video proiettato durante il percorso espositivo, in cui si ascolta la voce di Hiroshi Ishiguro, docente di Intelligenza artificiale nell’Università di Osaka, in Giappone. Volto noto nella comunità scientifica internazionale, il professore è considerato il creatore del primo robot umanoide, in tutto e per tutto (e in modo inquietante) simile a lui. Salvo che non può alzarsi dalla sedia su cui è collocato, camminare, e uscire dall’ufficio. Ma paiono dettagli se confrontati con le performance di Erica, un robot femmina dalla bellezza perfetta secondo i canoni giapponesi, a quanto pare «[…] in grado di capire il linguaggio umano, parlare attraverso una voce sintetica e mostrare molteplici espressioni facciali».
Secondo Hiroshi Ishiguro, la domanda vera in tema di robotica e intelligenza artificiale, come si può ascoltare nel video, è «What the soul is?»: che cosa è l’anima? In poche parole: cosa rende umano l’uomo? In una intervista, già nel 2016, il docente aveva espresso molto chiaramente il proprio pensiero: «In Giappone la tecnologia è considerata un’alleata. Per secoli i popoli europei si sono fatti la guerra fra loro e il “noi” e “l’altro” sono diventati sempre più importanti. La vostra religione, il cristianesimo, fa un distinguo netto fra l’uomo e tutto il resto. Il mio Paese è stato isolato per anni e ha mantenuto un fondo di animismo. La vita digitale è considerata come una delle tante forme di vita del pianeta. Gli androidi sono una nuova specie che si aggiunge alle altre».
Infine
Il secondo campanello di allarme, che cela in qualche modo un giudizio, sembra quasi uno scherzo divertente, una boutade: nel percorso della mostra, i visitatori incontrano alcuni totem in cui è possibile rispondere con un «sì» o con un «no» a una semplice domanda, pigiando il pulsante corrispondente alla propria scelta. Una di queste domande recita: «Potresti innamorarti di un robot umanoide?». Ed è una risposta, nevvero, in cui si gioca il futuro.
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