Last updated on Febbraio 25th, 2020 at 03:18 am
«La riforma del congedo parentale rappresenta l’investimento attuato dal governo nel futuro dei bambini e nel benessere delle famiglie», recita il sito web del governo finlandese. «La riforma costituirà un grande cambiamento di mentalità giacché migliorerà la parità fra i genitori e semplificherà la vita di svariate famiglie». Ciascun genitore riceverà cioè 164 giorni di congedo retribuito, quasi sette mesi. Ciascun genitore potrà inoltre scegliere di trasferire all’altro 69 giorni dei propri. I cambiamenti, sintetizza The New York Times, «[…] sono il tentativo di promuovere la parità di genere e l’inclusione delle coppie composte da persone dello stesso sesso, incoraggiando i padri a usufruire di tempo libero dal lavoro tanto quanto le madri».
Benché le dichiarazioni della Finlandia si concentrino sulla parità di genere, i media mettono in luce anche il basso indice di natalità del Paese, che l’anno scorso ha toccato il numero più basso mai visto a partire dalla carestia del 1868. Le misure prese potranno aiutare a far nascere un maggior numero di bambini finlandesi?
Su Forbes Elizabeth Bauer evidenzia come la Finlandia, ugualmente gli altri Paesi nordici, goda già di una delle più generose politiche di congedo parentale, di un’economia solida, di una delle popolazioni “più felici” e di un rating attribuito dal World Economic Forum che la porta a essere il quarto Paese al mondo per quanto concerne la parità di genere, dopo Islanda, Norvegia e Svezia. In pratica tutto ciò che “dovrebbe” condurre a un indice di natalità più alto, tendono a pensare gli analisti, è già in atto. La Bauer conclude ipotizzando che forse l’indice di natalità finlandese inizierà presto a risalire, ma nel frattempo «[…] viene messa in discussione la convinzione comune secondo cui il cammino che conduce a livelli di fertilità che garantiscano il ricambio della popolazione sia una combinazione di parità di genere e di previdenza sociale generosa».
Una falsa pista
Allan Carlson ha evidenziato come in Svezia (un altro Paese celebrato per congedo parentale generoso e parità di genere) politiche analoghe non siano affatto riuscite a invertire il declino della popolazione. Carlson cita Joseph Chamie, ex direttore della Divisione per la popolazione del Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite:
«Mentre numerosi governi […], organizzazioni non governative e privati possono sostenere con forza la parità di genere al lavoro e a casa definendola un principio fondamentale e un obiettivo da perseguire, non è del tutto evidente come il fatto che uomini e donne partecipino in maniera equivalente all’occupazione, alla genitorialità e alle responsabilità familiari farà aumentare i bassi tassi di fertilità. Al contrario, pari partecipazione di uomini e di donne nelle file della forza lavoro, nella crescita dei bambini e nei lavori domestici punta esattamente nella direzione opposta, ovvero al di sotto della soglia del ricambio generazionale».
Una politica fiscale family-friendly, che favorisca il matrimonio e i figli, dimostra di produrre benefici evidenti.
Anche le misure che sta attuando oggi l’Ungheria (fra cui l’esenzione a vita per le donne con quattro o più figli dalla tassa sul reddito e l’erogazione ai genitori di indennità considerevoli per l’alloggio) sembrano funzionare.
Mentre la parità di genere può andare bene per altri aspetti, aumentare l’indice di natalità non è, sfortunatamente, uno di questi.
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