Last updated on Settembre 13th, 2021 at 03:22 am
Nel 2020 in Italia sono nati 16mila bambini meno che nel 2019, con il drammatico record negativo segnato in gennaio, con ben 5mila nascite in meno rispetto all’anno precedente: ovvero una riduzione media della natalità del 9,1% in un solo anno. Lo rende noto uno studio pubblicato dal Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS), che ha analizzato il tasso di natalità in 22 Paesi sviluppati. A condividere con l’Italia il triste primato sono Ungheria, Spagna e Portogallo.
Niente più né padri né madri
Arnstein Aassave, docente di Demografia nell’Università Bocconi di Milano e prima firma dello studio del PNAS, afferma che i dati sulle nascite andrebbero considerati a medio termine, senza pretendere di addossare tutta la responsabilità dell’incremento del fenomeno delle culle vuote alla pandemia. Considerando anche le condizioni economiche e il mercato del lavoro, «una delle ragione del calo del numero delle nascite deriva dal fatto che il calo della fertilità che si è mantenuto per decenni avrebbe comportato una diminuzione del numero dei padri».
Con Aasave ha lavorato la demografa Letizia Mencarini, che sottolinea come «dove i giovani hanno avuto meno paura di perdere il lavoro, dove si sono sentiti più protetti dal welfare, il calo delle nascite non c’è stato», ovvero in Norvegia, Svezia, Germania e Paesi Bassi. D’altra parte «nei paesi ricchi, in particolare in quelli a bassa fecondità come il nostro, fare figli è una decisione consapevole. […] E c’era già un trend negativo legato alla diminuzione delle donne in età fertile e il calo della fecondità».
Ecco scattare il circolo vizioso, con il calo delle madri e dei padri potenziali: più tempo si aspetta prima di decidere di concepire un figlio, inferiori sono le possibilità di concepire.
L’incertezza sul futuro, forse non si tratta solo di welfare
La notizia dell’inasprirsi dell’inverno demografico nei mesi della pandemia ha sicuramente a che fare con l’incertezza. È netto il giudizio della Mencarini, che, oltre a indicare la paura della perdita del lavoro come elemento determinante della situazione attuale, esplicita un giudizio di tipo culturale: «nei paesi ricchi […] fare i figli è una decisione consapevole». Sarebbe da indagare approfonditamente, su questo genere di consapevolezza, in riferimento alla scelta di mettere al mondo un figlio. O di non farlo.
D’altra parte, di denatalità, welfare e consapevolezza si parlava anche prima della pandemia, come «iFamNews» non ha mancato di riportare, tanto che dopo molte promesse deluse e non poche difficoltà di realizzazione, un primo tentativo di sostegno alle famiglie è stato messo in campo: il tanto discusso assegno unico universale.
Da luglio le famiglie di lavoratori autonomi e disoccupati, che in passato erano state escluse dagli assegni familiari per i dipendenti, hanno finalmente potuto accedere al cosiddetto «assegno ponte», che dovrebbe portare – ormai il condizionale è d’obbligo – all’entrata in regime dell’assegno unico da gennaio 2022. Si tratta di un assegno dall’importo massimo di 167,5 euro per ogni figlio, variabile in base all’ISEE, che prevede un’ulteriore maggiorazione per le famiglie con più di tre figli e in caso di disabilità. Si dovrebbe trattare di una misura a lungo termine, che accompagnerà le famiglie fino al compimento del ventunesimo anno di età, una entrata certa che dovrebbe contribuire a creare stabilità.
Il flop dell’assegno unico
Ebbene, la partenza della nuova misura, più volte ritardata e rimaneggiata, non ha però registrato alcun entusiasmo da parte delle famiglie italiane. Anzi. Nei primi mesi di apertura della domanda (che fino al 30 settembre prevede la retroattività del bonus a partire da luglio) pare che poco meno del 20% delle famiglie abbiano effettivamente fatto richiesta dell’assegno. Anche se va ricordato che i percettori di reddito di cittadinanza non sono tenuti a presentare domanda, ma si vedranno recapitare automaticamente l’adeguamento della cifra del reddito in base al numero dei figli, resta da registrare una significativa sfiducia delle famiglie nella misura tanto sbandierata nei mesi scorsi dal ministro per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti.
Tra le ragioni ipotizzate per un tale flop dell’assegno unico, richiesto da una famiglia su cinque di quelle aventi diritto, c’è sicuramente la mancanza di informazione, come sottolinea Gigi de Palo, presidente del Forum Nazionale Associazioni Familiari. Inoltre, come sempre, le procedure burocratiche necessarie per accedere alla misura sono complesse, in grado di scoraggiare molte famiglie a fronte di una cifra promessa, per gran parte della platea, decisamente irrisoria rispetto alle effettive spese affrontate dalle famiglie italiane, per non parlare dei criteri di assegnazione in base all’indicatore ISEE, per molti versi ingiusto e non rispondente alle necessità. Non è di una mancetta che le famiglie hanno bisogno…
Insomma, di fronte all’incertezza dei tempi, appare sempre più “comprensibile” che una coppia, soprattutto se giovane, “non se la senta” di mettere al mondo un figlio. Ed è evidente, come si ha già avuto modo di sottolineare, che non si tratti solo di un problema economico. L’emergenza è, senza alcun dubbio, di ordine culturale: «i figli sono una benedizione, ed occuparsene un privilegio: qualsiasi politica parta da un giudizio diverso da questo sarà inevitabilmente fallimentare».