Il voto per il rinnovo quasi totale del Congresso federale degli Stati Uniti d’America, l’8 novembre, si avvicina e la posta in gioco è altissima. Come sempre e più di sempre. Per molti versi sarà infatti un referendum sulla sentenza con cui, il 24 giugno, la Corte Suprema federale ha cancellato la bugia dell’aborto come diritto costituzionale. Nel senso che ora, dopo il clamoroso smacco subito il 24 giugno, le forze filoabortiste statunitensi hanno di fatto una sola chance. Quella di ottenere una maggioranza parlamentare tale che possa consentire di stravolgere la sentenza del 24 giugno, reintroducendo l’aborto come diritto costituzionale per legge. E l’8 novembre è la prima, grande occasione utile.
La sentenza della Corte Suprema, infatti, attraverso cui nel 1973 l’aborto divenne de facto un diritto costituzionale agì al contrario. Stabilì che l’aborto fosse non-illegale e quindi, di conseguenza, l’aborto venne imposto in modo ubiquo nel Paese. Ma, seppur non immediatamente, quella sentenza è sempre stata debole: alla mercé di altre sentenze del massimo tribunale del Paese, come appunto poi è stato.
Ora le forze filoabortiste rischiano di dove attendere tempi di battaglie lunghe, specularmente a quanto successo per decenni alle forze pro life, se vogliono sperare di rivedere la tempesta perfetta costituita dal presentarsi di tutte e assieme le condizioni che possano permettere un nuovo rovescio di fronte: una diversa composizione della Corte Suprema, composta però da giudici che siedono a vita, e in numero tale da ribaltare la maggioranza attuale, il tutto previa designazione dei candidati a quegli scranni da parte di un presidente della repubblica e capo del governo di orientamento consono e la conferma da parte di una Commissione Giustizia del Senato (quella che ne ha competenza) in maggioranza composta analogamente da personale di orientamento allineato.
Per adire la via della legge parlamentare basta invece la maggioranza dei seggi dentro le due camere del Congresso di Washington. Per questo ciò che ha proposto il senatore Repubblicano Lindsey Graham a poche settimane dal voto-referendum cala un asso pesante sulla tavola da gioco.
Il 2 settembre Graham ha infatti annunciato la prossima proposta di una legge che metta al bando l’aborto oltre la 15esima settimana di vita del bimbo nel grembo materno. Oggi solo sette Paesi consentono l’aborto, non dettato da ragioni mediche, fino alla 20esima settimana, e fra questi ci sono ignominiosamente gli Stati Uniti.
La proposta di civiltà avanzata da Graham mira chiaramente a due obiettivi: salvare più vite umane innocenti e condizionare il voto dell’8 novembre.
La sentenza del 24 giugno, infatti, non cancella l’aborto negli Stati Uniti: abolisce la falsa idea che negli stati Uniti l’aborto sia un diritto federale e che questa menzogna costituisca criterio vincolante. Così facendo quella sentenza rimanda la questione allo status quo ante 1973 e ai singoli Stati dell’Unione federale. Molti dei quali hanno in vigore leggi pro-life, ma altri no, continuando a permettere l’aborto, e fino alla 20 settimana.
La proposta Graham parla invece agli elettori guardandoli diritti negli occhi: volete che gli Stati Uniti continuino a essere uno dei Paesi più arretrati e assurdi del mondo sull’aborto? Oppure volete che la potenza della sentenza del 24 giugno, che ha già limitato l’aborto, venga ulteriormente rafforzata?
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