Last updated on Giugno 30th, 2021 at 04:07 am
Seconda e ultima parte dell’intervista a Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano, a quarant’anni dal referendum sull’aborto. Qui la prima parte.
In 40 anni come sono cambiate le sfide rispetto alla difesa della vita?
Le aggressioni contro la vita umana e la famiglia sono divenute sempre più frequenti, estese, sofisticate. Rispetto alle offese, pur gravissime e diffuse, riguardanti altre fasi della vita umana, quelle che si dispiegano nell’area della vita nascente o marcata dalla disabilità grave e dalla malattia inguaribile presentano una caratteristica peculiare: l’attacco ha come obiettivo quello di cambiare il modo di pensare dei popoli, cioè di cambiare i criteri del giudizio morale e giuridico. Per esempio i telegiornali raccontano e mostrano ogni giorno uccisioni orribili all’interno delle famiglie, assassinii premeditati dalle organizzazioni criminali, inauditi atti di terrorismo in tutto il mondo, ma nessuno afferma che queste azioni sono buone e giuste. Se, invece, lo sguardo è rivolto alla fragilità della vita che inizia o non è “autonoma” per la malattia o la disabilità, ecco che si erge la pretesa di cosiddetti “nuovi diritti civili” che altro non sono che una minaccia frontale a tutta la cultura dei diritti dell’uomo. E in questa dimensione si inseriscono le battaglie contro l’obiezione di coscienza in ambito sanitario e per l’introduzione dell’ideologia gender. Sebbene, a volte, lo sconforto si faccia sentire, l’atteggiamento da tenere dovrebbe essere quello dell’avanzata propositiva per costruire una nuova cultura della vita. Non si tratta di fare scudo al passato, ma di edificare l’avvenire su un più alto livello di civiltà e di umanità. Il vero progresso sta qui.
Qual è il contributo che in questi 40 anni ha dato il MpV alla società italiana?
Le parole pronunciate dal cardinal Angelo Bagnasco, nella prolusione all’assemblea della Conferenza episcopale italiana del 13 maggio 2011, sono ancora valide e un riconoscimento di grande importanza: «A proposito della vita da accogliere e da promuovere, desidero ricordare il trentennale impegno del Movimento Per la Vita, che ha avuto una fondamentale funzione nel tenere sveglia la coscienza degli italiani sul fronte della vita concepita eppure esposta alla scelta sempre tragica dell’aborto. Anche il Santo Padre, ieri, dopo il “Regina Coeli” ha fatto menzione di questo impegno. Se nella cultura italiana l’opzione abortiva non è diventata un “normale” dato di fatto, molto si deve all’iniziativa di questo volontariato e dei media che l’hanno costantemente assecondato. È un impegno che non potrà certo diradarsi proprio ora». Colpisce il riferimento alla «fondamentale funzione» e a un «impegno che non potrà diradarsi proprio ora». Mio padre commentò queste parole nella relazione che svolse all’Assemblea nazionale del Movimento per la Vita nel 2012, una relazione bellissima che andrebbe letta e riletta per comprendere la portata del contributo dato dal MpV alla società italiana.
È un contributo riconosciuto?
Devo dire di sì, da molti. Poi basta considerare i frutti di questi oltre 40 anni: 230mila bambini nati e serenità delle loro mamme perché «le difficoltà non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà», moltiplicazione dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV) in tutta Italia e delle Case di Accoglienza, SOS Vita e Progetto Gemma, rafforzamento dei servizi ai CAV, diffusione del periodico Sì alla Vita, pubblicazioni, promozione di attività formative per giovani (concorsi, seminari, incontri), corsi di aggiornamento e formazione, convegni nazionali, tante iniziative culturali e politiche a livello italiano ed europeo abbinate a una mobilitazione generale come quella legata all’iniziativa dei cittadini europei «Uno di noi», presenza in vicende giudiziarie per difendere il concepito, la partecipazione attiva alla realizzazione della Giornata per la Vita. Negli ultimi tempi c’è stato anche l’impegno per l’adeguamento alla riforma del terzo settore così da rendere il Movimento interlocutore attrezzato nel mondo del volontariato e poi ci sono i progetti ministeriali come, per esempio, «Generare sorrisi» e «Mamme e bambini al centro».
Quanto influisce la cultura abortista sull’inverno demografico?
Molto, moltissimo, direi. È contraddittorio che non si senta parlare dell’aborto. In Italia, dall’entrata in vigore della legalizzazione della cosiddetta «interruzione volontaria della gravidanza», è stata impedita la nascita di oltre sei milioni di bambini. Questo risulta dalle relazioni ufficiali annualmente presentate al parlamento dal ministro della Sanità. Se oggi ci fossero sei milioni di figli in più non esisterebbe la paura del crollo delle nascite. Sappiamo che non è facile sconfiggere totalmente il dramma dell’aborto, ma se soltanto la metà dei bambini abortiti fosse stata salvata la situazione sarebbe diversa. Bisogna poi aggiungere l’enorme numero di figli appena concepiti a cui è stata tolta la vita mediante la cosiddetta «contraccezione di emergenza», la quale – come ormai è accertato da molti studi –, se il concepimento è avvenuto, impedisce al concepito di trovare accoglienza nell’utero materno e quindi ne viene provocata la morte.
Cosa c’è da fare ancora?
Sembra giunto il momento di un serio ripensamento sull’aborto, quanto meno sostenendo il volontariato impegnato ad aiutare le donne che subiscono una spinta all’aborto dall’ambiente in cui vivono ed anche da difficoltà di vario genere. In questa prospettiva i Centri di aiuto alla vita potrebbero essere inseriti nella strategia dello Stato e delle istituzioni locali. Sembra urgente anche una profonda revisione della funzione dei consultori familiari pubblici, trasformati nella maggioranza dei casi in strumenti di accompagnamento verso l’aborto. Se essi fossero completamente sottratti all’iter abortivo e venisse loro restituita la funzione originaria di essere luoghi di sostegno alla donna affinché porti a termine la gravidanza superando le difficoltà, prevedibilmente sarebbe vinto il crollo delle nascite. Insomma, certamente ben vengano gli aiuti economici e le politiche per la famiglia volte a incentivare le nascite, ma è necessario accompagnare tutto questo con una forte dimensione culturale incentrata sul riconoscimento del figlio concepito come uno di noi. Solo così è possibile dare basi solide e durature all’impegno per affrontare l’inverno demografico.
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