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Il «Ddl Zan» contro l’omofobia, di cui è previsto l’approdo in Aula il 27 luglio, si pone un obiettivo duplice: reprimere sì, ma anche educare. O contro-educare. È infatti nell’ambito dell’educazione – o dell’indottrinamento? – che si collocano i comma 1 e 3 dell’Articolo 5 del testo base. Al 3 si legge: «In occasione della “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado». Alla Giornata in questione fa riferimento il comma 1, ricordando che si celebra il 17 maggio, «al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere».
Il ritorno dell’UNAR
Vale a dire che il 17 maggio le scuole italiane si tingeranno dei colori arcobaleno. Anni di battaglie contro l’introduzione dell’ideologia gender nelle aule scolastiche rischiano di essere vanificati da un paio di articoli all’interno del «Ddl Zan». Già, perché la questione non si esaurisce all’Articolo 5. In quello successivo, il 6, si rimanda al decreto legislativo del luglio 2013, che delega all’UNAR (Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali) la funzione di svolgere un lavoro culturale contro discriminazioni di vario tipo e razzismo.
Per chi non conosce i trascorsi dell’UNAR, è utile ricordare che nel 2014 preparò degli opuscoli intitolati Educare alla diversità a scuola, i quali invitavano gli insegnanti a parlare agli studenti di «una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere» e definivano “omofoba” la persona religiosa, specie laddove sviluppa «cieca obbedienza ai precetti». Le vibranti proteste dell’associazionismo familiare convinsero l’allora ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, a bloccare la diffusione di questi libricini. Postilla non irrilevante: gli opuscoli costarono comunque 300mila euro di risorse pubbliche. A proposito di denari pubblici, a mero titolo di cronaca si ricorda che, nel 2017, l’allora direttore dell’UNAR, Francesco Spano, si dimise dal suo incarico dopo un servizio della trasmissione tv Le Iene che aveva denunciato l’erogazione di €55mila ad associazioni omosessuali tra le cui attività ci sarebbe stata anche quella di ospitare la prostituzione.
La strategia nazionale
Fatte le premesse, torniamo al «Ddl Zan». Nell’articolo 6 si assegna all’UNAR il compito di elaborare «una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere». La strategia si basa (anche) su «educazione e istruzione», dunque sul coinvolgimento degli studenti. Ci risiamo. L’UNAR dei famigerati opuscoli Educare alla diversità a scuola tornerebbe a salire in cattedra. L’ideologia gender che, faticosamente, migliaia di genitori in tutta Italia provano ad arginare, riceverebbe così l’imprimatur legislativo.
Il ruolo di insegnanti e genitori
A questo punto si impone una gamma di domande: sarà possibile per un insegnante esercitare una sorta di “obiezione di coscienza” alle celebrazioni LGBT del 17 maggio? Nel caso in cui sia maestra o maestro elementare, potrà opporsi alla partecipazione sua e dei propri studenti a incontri in cui, chissà, i bambini debbono ascoltare le favole lette da una drag queen o debbono svolgere “il gioco del dottore”? Il suo eventuale diniego verrà stigmatizzato da colleghi e giornali progressisti in modo da scoraggiare il dissenso? Stesso dicasi per i genitori: potranno esonerare i figli dagli eventi del 17 maggio oppure no, non sarà possibile come avviene invece oggi per i corsi extracurriculari? Incognite che ad oggi restano inevase. E che moltiplicano le preoccupazioni intorno al «Ddl Zan».
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