La vittoria del Partito Repubblicano nelle elezioni di “medio termine” dell’8 novembre sarebbe una notizia bellissima. La maggioranza con cui i Repubblicani trionferebbero nel Congresso federale, rinnovando per intero la Camera dei deputati e un terzo del Senato, sarebbe la notizia che chiunque abbia a cuore la sacralità della vita e la bellezza della famiglia naturale si aspetta. Se non altro la sacralità della vita umana e la bellezza della famiglia naturale: ovvero, anche altro, certamente anche altro, ma anzitutto e soprattutto questo. Ci sarebbe tempo per discutere di altro, per criticare i Repubblicani su altro e per altro, di fare loro, anche loro, le pulci su altro, perché gli sconti indebiti non si fanno mai a nessuno, ma non oggi, non ora, non su questo, non per questo, non sui princìpi non negoziabili.
Ma non lo sappiamo ancora. A due giorni dal voto, il risultato ancora manca. Si può legittimamente sperare, ma la certezza non c’è.
Questo è vero specialmente per il Senato, particolarmente in bilico e straordinariamente importante. Primo perché le elezioni “di medio termine” debbono sempre fare i conti con il terzo dei senatori che ogni due anni gli statunitensi eleggono, e quindi con il peso ancora “più pesante” che hanno le polarizzazioni politiche degli e negli Stati dell’Unione nordamericana (il conto finale di ogni tornata elettorale per il Congresso effettuato su un terzo dei senatori cambia infatti molto se, in un determinato anno elettorale, sono in lizza i seggi di uno Stato a orientamento maggioritariamente progressista piuttosto che conservatore), secondo perché è il Senato ad avere l’ultima parola in ambito legislativo. Terzo perché, da tempo, le differenze numeriche fra Repubblicani e Democratici nella “Camera alta” sono minime; e dato che basta pochissimo per alterarle irrimediabilmente, ogni valutazione deve essere fatta con il microscopio.
La vittoria dei Repubblicani nel Congresso, soprattutto al Senato, scongiurerebbe infatti il “golpe legale” che il presidente Joe Biden ha annunciato, anzi promesso con protervia e persino rabbia, qualora le elezioni dell’8 novembre fossero state vinte dal Partito Democratico.
Biden e i Democratici avevano cioè giurato di mettere mano subito a una legge parlamentare che ristabilisca la bugia dell’aborto come diritto costituzionale dopo la sconfessione di questa stessa menzogna benemeritamente, finalmente operata dalla Corte Suprema federale il 24 giugno dopo quasi mezzo secolo. Se invece i Repubblicani vinceranno, come speriamo con tutto il cuore no matter what, questo non accadrà, per ora non accadrà. Chiunque ora si augurasse un risultato diverso, cioè la vittoria dei Democratici, si assumerebbe la pesante responsabilità di volere una legge per la morte di eterna memoria, chiunque egli o ella sia, e ne dovrebbe moralmente rispondere in pubblico.
E non accadrebbe nemmeno, o accadrebbe molto meno, che tutte le altre bugie su sesso, sessualità e gender vengano cacciate a forza in gola agli americani con la facilità con cui questo è accaduto nei due disgraziati anni della presidenza Biden.
I prossimi due anni, infatti, fino alle elezioni presidenziali del 2024, sarebbero duri, durissimi per la disgraziata Amministrazione Biden nemica dei princìpi non negoziabili e per la sua agenda di radicalismo ideologico. L’Amministrazione Biden, e i suoi corifei radicali e ideologici in ogni parte del mondo, troverebbero un niet ad attenderli dietro ogni angolo. Eccola la notizia bella, bellissima che vorremmo festeggiare oggi con entusiasmo ma per la quale dobbiamo invece attendere, forse con una certa trepidazione, e con noi deve farlo chiunque abbia a cuore la sacralità della vita umana e la bellezza della famiglia naturale.
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