Last updated on Febbraio 23rd, 2022 at 03:52 pm
La Equality and Human Rights Commission (EHRC), cioè la «Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani», è «l’organo nazionale per la parità della Gran Bretagna ed è stata insignita dello status “A” come istituto nazionale per i diritti umani (NHRI) dalle Nazioni Unite». Il suo compito, come si legge sul sito web, «è aiutare a rendere la Gran Bretagna più equa. Lo facciamo salvaguardando e facendo rispettare le leggi che tutelano i diritti delle persone all’equità, alla dignità e al rispetto».
La EHRC è un’organizzazione creata dal parlamento britannico e istituita dall’Equality Act del 2006, che opera in modo indipendente rispetto al governo pur ricevendone i finanziamenti attraverso i fondi dell’Ufficio per le uguaglianze.
Date le credenziali, sorprende che l’ente compaia sul motore di ricerca Google scritto in rosso scuro, quando si sia scaricato sul proprio computer «Shinigami Eyes», il componente aggiuntivo del browser che segnala con questo colore i siti segnalati come «omofobi», e invece con il verde quelli considerati LGBT+-friendly. A discrezione degli LGBT+, naturalmente.
Invece no, non sorprende viste alcune posizioni autenticamente imparziali che questa organizzazione ha assunto, in particolare rispetto alle donne e ai loro diritti, spinti in un angolo e schiacciati dall’ortodossia dell’ideologia gender, che erode sempre più gli spazi e i ruoli femminili nella società.
Ecco un esempio: in Scozia «il dibattito su “sesso contro genere” ha sollevato importanti questioni di conflitto di diritti», ha affermato una decina di giorni fa Kishwer Falkner, presidentessa dell’EHRC, durante un’intervista per il programma Today della BBC Radio 4, in relazione all’appello formulato dall’ente al governo scozzese affinché sospenda l’iter di approvazione del disegno di legge che amplierebbe le maglie per l’autoidentificazione di genere.
Soprattutto, la Falkner ha sottolineato come il dibattito pubblico sui diritti delle persone transgender sia cambiato da quando il governo si è consultato per la prima volta, nel 2017, rispetto all’ipotesi di semplificare il processo giuridico per la «transizione» e in modo particolare di come «[…] la vera preoccupazione pubblica» sia dovuta al fatto che «le azioni volte a promuovere i diritti delle persone trans sono percepite in conflitto con quelle che tutelano i diritti delle donne». Anche «iFamNews» ne ha riferito in numerose occasioni, non solo per quanto riguarda la Scozia, evidenziando la fondatezza di tale preoccupazione con quanto sta avvenendo nelle scuole, nelle carceri, nel mondo dello sport.
La presidentessa dell’EHRC ha proseguito affermando che i termini «diritti trans e identificazione di genere» attualmente mancano di definizioni giuridiche e non trovano uno status chiaro nella proposta di legge attualmente al vaglio, rischiando di sfociare in «un numero maggiore di contenziosi in questo ambito».
Vi è però almeno un altro motivo che potrebbe spiegare il semaforo rosso di Google al sito della Commissione. L’EHRC, proprio come hanno fatto il Gabinetto del governo britannico, l’Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills (OFSTED), l’autorità di regolamentazione dei media del Regno Unito (OFCOM) e l’emittente televisiva nazionale BBC, ha chiuso il contratto con la Stonewall, l’organizzazione attiva nelle scuole, nelle università, nelle aziende e negli enti pubblici, dove si adopera per allargare sempre più gli spazi dell’ideologia gender imposta dall’ortodossia LGBT+. Non aderisce più, cioè, al programma «Diversity Champions», gestito dalla Stonewall e progettato per aiutare le aziende a diventare più “inclusive” e «[…] per garantire che tutto il personale LGBT+ sia accettato senza eccezioni sul posto di lavoro».
Un motivo più che sufficiente, quantificabile in sterline, per scatenare le ire della lobby LGBT+ britannica.
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