Last updated on Luglio 29th, 2021 at 02:25 am
Sono sbigottito. Cosa avrebbe mai scritto di sbagliato Maria Rita Castellani, garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Umbria, in quel suo testo inviato alla stampa che però ho la vaga sensazione pochissimi abbiano letto?
Ha scritto:
1. che nel «ddl Zan», articolo 1, comma d, «[…] si legge che per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. Pertanto il concetto d’identità cambia, non è più quello antropologico che conosciamo da sempre e che distingue persona da persona a ragione di evidenze biologiche, ma diventerà qualcosa che io, cittadino, posso decidere arbitrariamente secondo la percezione del momento. Di conseguenza ogni desiderio sarà considerato un bisogno e il bisogno un diritto»;
2. che «a partire da queste considerazioni preliminari si deduce che il sesso biologico non avrà più importanza dal punto di vista sociale perché conterà soprattutto il sesso culturale cioè quello percepito»;
3. che «l’intento del gender è quello di eliminare il concetto binario del maschile e del femminile per un individuo ibrido, che può scegliere tra 58 identità distinte, esistenti separatamente o insieme, ma anche nessuna, quando si desidera essere fluidi. A questo punto la confusione è totale e il disordine ontologico prende il posto di ogni ordine naturale. Siamo nel caos antropologico che si oppone totalmente al bisogno primario del bambino che è anzitutto quello della stabilità affettiva e della chiarezza identitaria nella distinzione dei due sessi genitoriali»;
4. che «nessuno di noi genera una cultura a partire dal nulla o a partire da se stesso. Tutte le informazioni intellettuali e scientifiche che l’umanità possiede sono il frutto di una storia di ricerche che fanno riferimento ad assiomi, cioè a leggi generali. La scienza non la inventa lo scienziato. Ogni ricercatore fa le sue deduzioni logiche con quella umiltà intellettuale che lo fa andare avanti, basandosi sul principio di realtà e su quello di non contraddizione. Se A è diverso da B, A e B non possono essere uguali»;
5. che «se questi assiomi fondamentali non vengono presi in considerazione si annulla ogni realismo ontologico e si acconsente ad un mondo senza più regole universali ed evidenti, fino al punto che: io potrei non essere io, tu potresti non essere tu e tutta la realtà è una fantasia che ciascuno può codificare e de-codificare come vuole. In sostanza con questa assurda visione fluida non ha più senso la ricerca scientifica, non ha più senso educare, non ha più senso la famiglia, le leggi e lo Stato perché ciascuno è normativo a se stesso. Per poter contrastare davvero l’odio e la violenza che sono la causa di tanta sofferenza nel mondo c’è bisogno di insegnare l’umiltà e il rispetto della natura con le sue leggi e i suoi limiti. La realtà ci precede e ci obbliga a fare scelte di vita secondo la sua verità e non secondo i nostri desideri».
La Castellani ha cioè parlato brillantemente di ontologia e di antropologia, di natura e di limite, di realtà e di umiltà, compito del resto non facile in poche battute da affidare all’effimerità delle notizie che si consumano nel momento stesso in cui vengono date. Ha svolto un ragionamento logico e lucido, enucleando per tutti i contenuti dell’ideologia gender che ora sta dietro alle pretese vanesie e liberticide del «ddl Zan» e ne ha mostrato linearmente le conseguenze.
La Castellani ha insomma reso una grande servizio civico agli italiani, e va ringraziata, in specie perché si occupa di infanzia e di adolescenza.
Certo, la Castellani ha anche scritto che se il sesso biologico non avrà più importanza dal punto di vista sociale, giacché conterà soprattutto il sesso percepito, perché mai qualcuno non potrebbe allora scegliere un dì un «orientamento sessuale verso cose, animali, e/o persone di ogni genere e, perché no, anche di ogni età, fino al punto che la poligamia come l’incesto non saranno più un tabù, ma libertà legittime»? Se infatti l’articolo 1, comma d, del «ddl Zan» introduce il concetto di «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione», cioè quello chiamato «identità di genere», ovvero se l’articolo 1, comma d, del «ddl Zan» dice che una persona può essere dell’orientamento sessuale che «percepisce e manifesta» indipendentemente da quello che in realtà è, dov’è che fa difetto la logica della Castellani?
L’on. Stefano Fassina, di Liberi e Uguali, ha parimenti detto che «[…] l’articolo 1 attraverso la definizione di identità di genere presenta una visione antropologica»: ancorché per lui «legittima», la definisce, con l’avversativo «ma», «è di parte», e la giudica cosa tanto grave da specificare che pertanto «non può diventare una legge dello Stato. Anche l’on. Fassina parla di antropologia come la Castellani, al cui esercizio logico cristallino va risposto sul filo della logica, non con strilli e strepiti.
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