Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:33 pm
Appena uscito in libreria ha agitato schiere di censori. Ma è anche schizzato in cima alle vendite. Il diario di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia (FdI), suscita sentimenti forti. Non può essere altrimenti per un testo appassionato e schietto, nel quale il racconto personale si intreccia con quello dell’impegno politico. Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee, edito da Rizzoli, ne è il titolo efficace, ripreso dal discorso della Meloni a una manifestazione dell’ottobre 2019. La leader di FdI spiegava allora l’importanza di difendere famiglia, patria, identità religiosa e identità sessuale dal pensiero unico. E concludeva con queste parole: «Io sono Giorgia. Sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana. Non me lo toglierete».
Onorevole Meloni, oggi è più difficile essere una donna, una madre, una italiana o una cristiana?
In questo tempo la sfida è difendere l’identità, a 360 gradi e in tutte le forme nelle quali si manifesta. Tutto quello che ci definisce è sotto attacco: sono minacciate la famiglia, la Patria, la libertà religiosa, l’identità di genere. L’identità è un pericolo per il pensiero unico e per le grandi concentrazioni economico-finanziarie, perché ciò che siamo esprime una visione del mondo, ha dietro di sé una storia, esprime un portato di idee e di valori. Senza quelle idee e quei valori, senza la nostra identitàn, oi non siamo più nulla: è il “cittadino x” che non crede in nulla e, come direbbe Michael Ende, autore de La storia infinita, «è più facile dominare chi non crede in niente».
Nel suo libro scrive che «agli occhi del pensiero dominante io sono una bigotta». È possibile difendere certi valori essendo bistrattati dal pensiero dominante?
Assolutamente sì e non dobbiamo avere paura. Puntando non sul piano confessionale, che è soggettivo, ma sulla pura logica, sul laico buonsenso delle nostre argomentazioni. Certa Sinistra e certa intelligencija ci additano come mostri solo per sfuggire al confronto: siccome non sanno come risponderti nel merito, allora ti attribuiscono etichette di ogni tipo. Difendi la famiglia naturale fondata sul matrimonio? Sei retrograda. Ti batti per dare alle donne un’alternativa all’aborto? Sei oscurantista. Sei contraria all’ideologia gender nelle scuole? Sei impresentabile. Se battersi per la famiglia, la vita, la libertà educativa vuol dire essere oscurantista, retrograda e impresentabile, allora sono fiera di essere tutto questo.
Quanto la sua contrarietà all’aborto deriva dall’aver appreso che sua madre rinunciò a interrompere in extremis la gravidanza quando era incinta di lei?
A mia madre devo ogni cosa. Anche avermi insegnato quanto la vita sia preziosa e sacra e quanto sia necessario difenderla. Era stata quasi convinta ad abortire, ma non lo fece. Decise di scommettere, di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di avere coraggio. Anche se la situazione che viveva diceva esattamente l’opposto. Ma decise di buttarsi e di fare la scelta più controcorrente che si possa fare: mettere al mondo un bambino. La sua vicenda, che è anche la mia, mi ha insegnato soprattutto che molte donne che abortiscono in cuor loro non escludono un’altra scelta, e che uno Stato giusto si preoccuperebbe di come aiutarle, invece di spacciare l’aborto come la migliore opzione possibile.
Questo suo racconto ha suscitato reazioni. Qualcuno ha obiettato che la Legge 194 risale al 1978, l’anno dopo la sua nascita, ignorando però la sentenza della Corte costituzionale del 1975. Tale episodio l’ha ferita?
Certo, e mi ha rattristato molto. Una polemica che denota la pochezza di certi sedicenti giornalisti e intellettuali. Personaggi la cui unica ragione di vita è mettersi in mostra e che non si fanno nessuna remora nell’utilizzare anche fatti personali, per attaccare politicamente qualcuno.
Se FdI governasse l’Italia, interverrebbe in qualche modo sul tema dell’aborto?
Continueremo a sostenere la piena applicazione della Legge 194, che al suo primo articolo sancisce che lo Stato difende e tutela la vita umana fin dal suo inizio. Perché per noi il concepito, il più piccolo e più povero tra gli esseri umani, è uno di noi e va difeso. Lo Stato e le istituzioni, a ogni livello, devono fare tutto quello che possono per aiutare le donne che vedono nell’aborto l’unica scelta possibile. Penso per esempio ad aiuti e sostegni economici e psicologici alle donne che vogliano portare a termine la gravidanza anche in caso volessero dare in adozione il bambino o al rafforzamento dei Centri di aiuto alla vita (CAV) e di quelle realtà che sostengono la maternità difficile. Serve una radicale inversione di rotta che metta fine anche a quei provvedimenti, come la direttiva Speranza sulla pillola RU486, che banalizzano l’aborto in una pratica “fai da te” ed espongono le donne a grandi rischi per la salute.
Di stretta attualità è il «ddl Zan». Con quali argomenti si può spiegare all’opinione pubblica che opporsi a questa proposta di legge non equivale ad essere omofobi?
Il «ddl Zan» non serve a combattere le discriminazioni ma a punire con nuovi reati d’opinione chi non piega la testa al pensiero unico. E lo abbiamo visto nei Paesi dove normative simili sono entrate in vigore. È una proposta liberticida che la Sinistra vuole imporre per colpire chi è contrario alle adozioni gay o all’utero in affitto. È un provvedimento che nega la differenza sessuale e finirà per discriminare soprattutto le donne, negando le conquiste che hanno raggiunto in tanti anni. Sostenere la tesi che l’identità sessuale di una persona sia completamente sganciata da quella biologica porta esattamente a questo. E non sono io a dirlo, ma quelle storiche femministe che oggi vengono addirittura accusate di omofobia perché rivendicano la specificità femminile. Il «ddl Zan» serve anche a spalancare le porte delle nostre scuole all’ideologia gender, a partire dalle elementari.
Nel 2016 sono state approvate le unioni civili, nonostante l’opposizione anche strenua di una larga parte della società. L’approvazione di leggi definite progressiste è inevitabile?
Non c’è niente di inevitabile. Ma è fondamentale che i cittadini facciano sempre sentire la propria voce, come è successo ad esempio con i due grandi Family Day a San Giovanni e al Circo Massimo, due manifestazioni oceaniche partite dal basso. Se i cittadini si fanno sentire, è più difficile per il palazzo non ascoltarli.
Era il 2006 quando Papa Benedetto XVI enunciò i famosi princìpi non negoziabili a un convegno promosso dal Partito Popolare Europeo. Oggi quei princìpi sono centrali per il Partito dei Conservatori e Riformisti Europei, di cui lei è presidente?
La difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, la cultura della vita contrapposta alla deleteria cultura della morte e dello scarto tipica di un certo progressismo amorale, la difesa della famiglia naturale come perno della società e come baluardo educativo. Questi princìpi non negoziabili, enunciati con grande profondità da Benedetto XVI, sono parte imprescindibile del patrimonio politico e culturale dei Conservatori europei. E rappresentano le priorità del mio mandato come presidente. Perché è da questi valori che l’Europa deve ripartire, per avere un futuro e non tradire la sua storia millenaria.