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Donna, uomo, x

Le femministe radicali contro la «dittatura della pretesa» voluta dal «Ddl Zan»

Barbara Santambrogio di Barbara Santambrogio
02/11/2020
in Politica
364
Reading Time: 3 mins read
0
Statua femminile decapitata

Image by Couleur from Pixabay

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Last updated on Novembre 19th, 2020 at 05:09 am

L’esame del «DdL Zan», il cosiddetto disegno di legge contro l’«omo/transfobia», di cui “iFamNews” ha dato conto in numerose occasioni, è tornato in aula per la discussione martedì 27 ottobre e, dopo una breve sospensione dovuta a disaccordi sulla celebrazione della relativa giornata “contro”, il 17 maggio di ogni anno, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, lo sarà di nuovo a partire da domani.

Nei giorni precedenti ne aveva “twittato” più volte l’on. Alessandro Zan in persona, che cinguettando citava esplicitamente «omotransfobia» e «misoginia» (per arrivare successivamente alla discriminazione contro le disabilità, ma questa è un’altra storia).

Rispetto alla misoginia, intanto, qualcuno (anzi, qualcuna) non ci sta. E non si tratta certamente di desperate housewives, vessate da pargoli urlanti e sottomesse a mariti iracondi, prive di verve o di spirito critico, come da stereotipo imposto da una certa parte (non la nostra, evidentemente). Affatto.

La pagina Facebook di RadFem Italia, gruppo femminista radicale, apartitico e privo di orientamento religioso, si è espressa infatti in modo molto diverso rispetto al testo unico, e ha fatto partire una petizione: «Il femminismo italiano si è unito per chiedere alcune modifiche al testo di legge, in particolare sulla cosiddetta “identità di genere”, e per chiedere di omettere la misoginia dalla legge».

E infatti, si legge, «In tutto il mondo l’“identità di genere” viene brandita come un’arma contro le donne. […] è il luogo in cui la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – viene fatta sparire. È la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere, è l’essere donna a disposizione di tutti. È il luogo in cui le donne nate donne devono chiamarsi “gente che mestrua” o “persone con cervice” perché nominarsi donne è trans-escludente. È la ragione per la quale chi dice che una donna è un adulto umano di sesso femminile viene violentemente messa tacere, come è capitato a molte femministe […]. È il luogo in cui le quote politiche destinate alle donne vengono occupate da uomini che si identificano come donne; dei fondi destinati alla tutela delle donne, delle azioni positive, delle leggi, dei posti di lavoro per le donne di cui usufruiscono uomini che si identificano come donne». 

“iFamNews” ha toccato altre volte tali aspetti cruciali, violenti, profondamente anti-femministi, rispetto alla questione del gender: per esempio lo si è fatto ricordando l’8 marzo, lo si è fatto parlando della mostra milanese sulla vulva, lo si è fatto raccontando del rosso Pantone tinta «mestruazione».

Il passo successivo compiuto dalle Radfem, che hanno anche organizzato una campagna contro il «DdL Zan» che ha coinvolto numerosissime donne, le quali hanno postato una propria foto reggendo un cartello in cui spiegavano le ragioni dell’opposizione al testo unico, è contro l’equiparazione della misoginia alla «omo/transfobia».

Tale equiparazione viene infatti, e giustamente, ritenuta un “contentino”, l’ennesima dimostrazione di patriarcato e di paternalismo, finalizzato a ottenere i propri scopi ai danni delle donne, anzi addirittura con il loro appoggio: «La grande parte del femminismo italiano intende anche l’inserimento “in corner” della lotta alla misoginia nel contesto dell’omotransfobia come una finta “concessione” alle donne per stemperarne e contenerne le obiezioni. […] Pensare le donne come sfumatura dell’arcobaleno Lgbtq+ non è accettabile e produce un pericoloso disordine simbolico. La lotta alla misoginia necessita di un percorso assolutamente diverso».

I social si sono presto riempiti di una pioggia di insulti pesantissimi rivolti alle promotrici e alle firmatarie della petizione, e alle donne che hanno partecipato alla campagna, qualificate come omofobe, transfobe, terf (dall’inglese Trans-Exclusionary Radical Feminist). Come se rivendicare la propria femminilità e il proprio essere donna togliessero qualcosa ad altri, che donne non sono, benché tali si percepiscano.

È l’ormai consueta «dittatura della pretesa», che il «ddl Zan» è pronto ad avallare e sostenere: il messaggio è chiaro, molto chiaro, se qualcuno avesse voglia di ascoltarlo.

Tags: FemminismoRadFem Italia
Barbara Santambrogio

Barbara Santambrogio

Dopo un percorso lavorativo originale e variegato, nel campo della pubblicità e dell’editoria, ma anche nel mondo enologico, è approdata finalmente a occuparsi di quanto più la appassiona. Oggi scrive (per il web, ma non solo), si occupa di traduzioni e insegna nella scuola primaria. Mamma biologica e adottiva, ama leggere e il running.

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