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Libera pubblicità all’aborto libero

La Germania abroga il paragrafo 219a “nazista” del Codice penale. Ma è più nazista vietare la pubblicità all’uccisione di un innocente o la réclame ovunque?

Marco Respinti di Marco Respinti
26/06/2022
in In evidenza, Vita
347
Reading Time: 2 mins read
0
Aborto in Germania
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Venerdì 24 giugno, mentre la Corte Suprema degli Stati Uniti d‘America cancellava l’idea dell’aborto come “diritto” federale e di una sentenza mortale come precedente vincolante, il parlamento tedesco ha abrogato la legge che limitava la diffusione di informazioni sull’aborto. Si tratta del “famoso” paragrafo 219a del Codice penale.

Adesso in Germania non è più vietato fare pubblicità all’interruzione volontaria di gravidanza. Si può cioè reclamizzare l’uccisione di un bimbo innocente ancora nel grembo materno come si sponsorizza una scatola di pelati, un rossetto o un paio di mutande.

«Era proprio ora», ha dichiarato in parlamento il ministro della Giustizia, il liberale Marco Buschmann. «È assurdo e anacronistico che tutti i troll e complottisti possano esprimersi sull’aborto ma che i medici non abbiano il diritto di informare correttamente il pubblico». Una doverosa battaglia per la libertà di espressione, combattuta con soddisfazione dal titolare del dicastero che deve garantire l’equanimità della legge per tutti i cittadini. O dovrebbe: perché per Buschmann conta evidentemente di più un troll (vero o presunto) della vita di migliaia e migliaia di piccoli tedeschi fatti a pezzi ancora nel grembo delle proprie mamme.

La retorica filoabortista che ha abbattuto il paragrafo 219° ha puntato del resto tutto sulla bestia nera per eccellenza: Adolf Hitler. Quel paragrafo di legge, infatti, fu introdotto nell’ordinamento politico tedesco nel 1933, poco dopo l’assunzione dei pieni poteri da parte di Adolf Hitler. Vale a dire, vietare la pubblicità all’aborto sarebbe roba da nazisti e merita la condanna assoluta, laddove, come dice chiaramente il ministro Buschmann, difendere la vita è cosa da complottisti. Una madre che difende il proprio piccolo è complottista. Un padre che fa scudo al proprio figlio è complottista. Una famiglia che garantisce l’essenziale a un piccolino è complottista.

A parte il fatto che probabilmente Hitler vietò la pubblicità all’aborto tedesco solo per avere mano libera nello sterminare gli esseri umani dentro e fuori il grembo materno nel silenzio totale e senza dover rendere conto a nessuno, a guardare bene come stanno le cose ora nella Germania democratica post-hitleriana si avviene assaliti da un dubbio.

È cioè più da nazisti vietare la pubblicità alla voglia di uccidere un innocente o coprire le pagine dei rotocalchi e i muri delle città con la réclame della morte procurata? Son dilemmi democratici.

Tags: AbortoGermania
Marco Respinti

Marco Respinti

Marco Respinti è il direttore di International Family News. Italiano, è giornalista professionista, membro dell’International Federation of Journalists (IFJ), saggista, traduttore e conferenziere. Ha collaborato e collabora con diversi quotidiani e periodici, sia in versione cartacea sia online, in Italia e all’estero. Autore di libri, ha tradotto e/o curato opere di, fra gli altri, Edmund Burke, Charles Dickens, T.S. Eliot, Russell Kirk, J.R.R. Tolkien, Régine Pernoud e Gustave Thibon. Senior Fellow al Russell Kirk Center for Cultural Renewal (Mecosta, Michigan), è anche socio fondatore e membro del Consiglio Direttivo del Center for European Renewal (L’Aia, Paesi Bassi). Membro del Comitato editoriale del periodico The European Conservative e del Consiglio Consultivo della European Federation for Freedom of Belief, è direttore responsabile del periodico accademico The Journal of CESNUR e, sul web, di Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights.

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