Last updated on Dicembre 24th, 2021 at 06:55 pm
Non c’è peggior sordo di chi non voglia ascoltare. Anche di fronte all’exploit della pornografia tra gli adolescenti (e ormai anche tra i preadolescenti), c’è chi continua a elaborare sofismi e ad arrampicarsi sugli specchi pur di difendere quel che resta dell’ideologia permissivista. Tra questi irriducibili, c’è il quotidiano la Repubblica, che ha commentato, decisamente a modo proprio, le dichiarazioni della giovane cantautrice americana Billie Eilish dopo la sua incredibile confessione: «La pornografia mi ha distrutto il cervello». Frasi sorprendenti, visto che la Eilish è un simbolo conclamato del nichilismo pseudo-trasgressivo della sua generazione.
Solo dettagli, però, per la giornalista di la Repubblica, Elena Stancanelli, che, in un articolo, ripropone lo slogan stanco del «proibito proibire». Per il semplice fatto che ormai «è impossibile vietare qualcosa che si trova gratis in rete», gli adulti, argomenta la Stancanelli, dovrebbero seguire un approccio diverso con i figli, tanto sulla sessualità quanto sulla pornografia. Visto, insomma, che il porno è un qualcosa con cui – piaccia o non piaccia – il dodicenne deve convivere, e i suoi genitori accettarlo, ecco l’ermeneutica bizzarra dell’editorialista: «La pornografia ha uno scopo ricreativo e non fa male».
Bigotto e ottuso, quindi, chi vorrebbe occultarla, pur sentendosene pruriginosamente attratto, magari consumandola clandestinamente.
Seconda bizzarra affermazione della Stancanelli: «la pornografia non è sesso, non gli assomiglia neanche, è acrobazia», e comunque, se c’è una pornografia che andrebbe combattuta, è quella «tradizionale, fatta di accoppiamenti violenti e maschilisti». Un disco rotto che rimesta per automatismo il tormentone del “patriarcato” e invece disco verde per una pornografia “al femminile”, fatta di romanticismo, delicatezza e tenerezza.
La gravità di queste affermazioni è inaudita.
Forse c’è un piano
Ma può esistere una “pornografia buona”?
Le statistiche certificano che un adolescente su cinque è schiavo del porno online e a deplorare il fenomeno non è uno dei “bigotti” invisi alla Stancanelli, bensì proprio il pulpito da cui la giornalista predica la ricreazione pornografica femminista, cioè il suo la Repubblica, che nella medesima commedia intende evidentemente recitare più parti.
Se è vero, però, che l’autorevolezza e la credibilità dei quotidiani un tempo più venduti sono in drastico calo, non altrettanto si può dire per i social network, su cui i giovani trascorrono parte considerevole del proprio tempo. Già nei mesi scorsi, «iFamNews» aveva smascherato la doppia morale di Facebook e di Twitter, sempre zelanti nel censurare opinioni a loro sgradite, ma estremamente indulgenti – per usare un eufemismo – nei confronti della pedopornografia.
Del resto la pornografia, e omosessuale, dilaga pure nella cosiddetta street art, con immagini visibilissime a qualunque minore e senza nessuno (o quasi) che se ne preoccupi.
L’oscenità è insomma veicolata da tanta subcultura, ma quel che più è assurdo è che le scuole d’Italia e del mondo la trasmettano agli allievi.
Per non parlare della recente sentenza della Cassazione, che depenalizza le riprese di atti sessuali tra adulti e minori. Si direbbe quasi un piano per la sessualizzazione precoce, che si fa strada in modo strisciante.
La strategia sembra agire su due fronti. Da un lato costringere tutti a prendere atto di quelli che vengono spacciati per cambiamenti antropologici, all’insegna della più totale passività, come se ciò che, dopo un po’, diventa “costume”, sia, per ciò stesso, accettabile, normale o addirittura da incoraggiare.
Dall’altro qualche grido di dolore lanciato qua e là, utile a non apparire troppo estremisti mentre si porta avanti il piano. Perché per una Eilish che denuncia vi sono almeno una decina di altri “che male c’è?”. Una discesa all’Inferno, un gradino alla volta.