Last updated on Ottobre 10th, 2021 at 03:50 am
Quello che si è appena aperto per le scuole di ogni ordine e grado è il terzo anno segnato dalla pandemia e ancora sulle spalle della scuola grava una ripartenza pressoché incerta.
Le scuole in quarantena sono già numerosissime. Della scuola non sono stati risolti i tre nodi cruciali, aule, trasporti e tracciamento dei contagiati, onde garantire un riavvio capace di saziare la sete di normalità ruggente che alberga nell’animo di tutti i bambini e di tutti i ragazzi, troppo a lungo provati da chiusure, restrizioni e «DAD», nonché già vittime di un impoverimento culturale e relazionale che li ha pesantemente travolti.
L’inizio dell’anno scolastico 2021/2022 è pure già stato tragicamente segnato dal suicidio di tre studenti giovanissimi.
Non è dunque possibile non interrogarsi profondamente come educatori, come persone impegnate nel dibattito pubblico, come istituzioni e come associazioni. Tutti si è chiamati a offrire un contributo, qualche ipotesi di risposta o forse anche solo a custodire domande di senso che nessuno più fa e che però pesano come piombo su questa generazione ferita.
È insomma necessario investigare il mondo di giovani sempre più isolati, perché vittime del vuoto di adulti sempre più assenti.
Si deve allora esigere, oltre agli slogan sui diritti delle donne, che i doveri della società civile si concentrino maggiormente onde restituire, per esempio alle donne, contratti di lavoro adeguati affinché possano svolgere l’attività preziosa di mamma e trascorrere più tempo con i figli, senza doverli lasciare ai baby-sitter, cioè solo social media, Internet, smartphone, televisione, perché solo alcuni, pochi, possono permettersi quello che oramai è il lusso dei nonni.
Di fatto l’emancipazione femminile, voluta attraverso la parità con gli uomini a tutti i costi, ha permesso che i nostri figli li crescessero le tate o le varie agenzie educative.
Ma l’unica vera agenzia educativa è da sempre la famiglia. Ed è proprio al cuore della famiglia che infatti mira il pensiero unico dominante onde distruggerla.
Le sfide sulle dipendenze che affliggono i nostri ragazzini e i nostri adolescenti sono moltissime: da Tik tok alla pornografia, dai videogiochi spesso violenti o volgari e non adatti alle fasce dei fruitori al gioco d’azzardo, dalla droghe pesanti a quelle cosiddette leggere (come impone il solito linguaggio criptato, anche se di leggere non esistono), per non parlare dell’abuso, già in età giovanissima, di alcool..
L’associazione «Non si Tocca la Famiglia», che ho l’onore di presiedere, si compone di genitori, esperti del settore educazione, docenti e specialisti che, a vario titolo, su vita, famiglia, scuola ed educazione sono impegnati da anni. L’associazione ha più volte indicato le priorità per la formazione, vieppiù urgente, di giovani e di adulti che, in un momento storico come quello presente, sono necessarie. Sono infatti la chiave di accesso per decodificare i sintomi gravi che emergono per esempio proprio sulle nuove dipendenze tecnologiche, dove la nostra gioventù iperconnessa vive di fatto disconnessa dal mondo reale.
Difendere nelle scuole lo strumento del consenso informato preventivo, capace di tutelare la libertà di scelta educativa delle famiglie, le quali, davanti a proposte progettuali dubbie spesso di matrice ideologica come il gender, permette alle famiglie di esonerare i figli da percorsi educativi non condivisi.
Sul gender ha tuonato più volte anche il Santo Padre, Francesco, additandolo come una vera e propria guerra mondiale dichiarata e condotta contro la famiglia: una colonizzazione ideologica in cui i bambini vengono usati come cavie di laboratorio nel quadro di una confusione antropologica immane.
Ecco, il tema del gender nelle scuole, presidiato e combattuto dalle famiglie, ha prodotto migliaia di genitori sentinella che segnalano gli abusi commessi nelle scuole e che consentono di accendere i riflettori su una realtà che, nella maggior parte dei casi, altrimenti passerebbe indisturbata.
Oggi è appunto necessario ripartire dai grandi temi dell’emergenza educativa, che devono vedere mobilitata la comunità educante per stabilire un contatto profondo e colmo di senso con la fascia più esposta, appunto quella giovanile.
Durate la pandemia, nell’Italia meridionale hanno chiuso, morte di stenti, centinaia di scuole pubbliche paritarie, serrando le porte di quelle che, in alcune zone a rischio, erano gli unici presidi educativi contro la delinquenza e il malaffare.
Tutti quei giovani vittime dell’abbandono scolastico sono stati così direttamente consegnati alla mafia e alla camorra, delineando un ennesimo fallimento di uno Stato che non ha saputo sostenere proprio quelle scuole che aiutavano i poveri.
La battaglia culturale da sostenere è oggi il raggiungimento della parità scolastica piena, dando finalmente attuazione alla Legge 62 del 2000, un tema, questo, su cui l’Italia è ultima in Europa. Se quella legge fosse davvero attuata pienamente verrebbero finalmente abbattuti i muri che discriminano anzitutto le famiglie più povere. Queste vivono infatti ancora e sempre nell’impossibilità di scegliere liberamente la scuola per i propri figli e debbono accontentarsi di quel che passa lo Stato.
Lo Stato ha le necessità di garantire soprattutto i più deboli, anzitutto le famiglie più povere, mediante l’abbattimento dei costi delle rette di frequenza, dando fiducia a quanti credono nella scuola di qualità e offrendo quel costo standard per allievo che è l’unica vera soluzione alla povertà culturale e all’abbandono scolastico. Restiamo dunque in trincea, mantenendo elevando il tono del dibattito e mediando nei luoghi preposti, certi che ripetere come un mantra la verità serve. In passato ha portato frutto, giacché la gente fiuta le cose ovvie e si schiera per ottenerle anche grazie all’aiuto di chi difende gli interessi dei più fragili: bambini, ragazzi, famiglie.
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