Nelle ultime 24 ore la notizia ha fatto il giro del web, e non è di quelle buone: nella serata di lunedì 21 febbraio, ora locale, la Colombia ha depenalizzato l’aborto.
La Corte costituzionale di Bogotà lo ha stabilito con cinque voti favorevoli e quattro contrari, seguendo l’«Onda Verde» delle manifestazioni dei gruppi abortisti che lo pretendevano e quella lunga di altri Paesi iberoamericani, come l’Argentina, il Messico e in parte l’Ecuador, che, a partire dal gennaio 2021, hanno preso decisioni simili.
Fino a ieri l’aborto, cioè, in Colombia era consentito solo in caso di rischio per la vita o la salute della madre, di malformazioni fetali gravi, oppure quando la gravidanza fosse conseguita a stupro, incesto o fecondazione artificiale non consensuale. Dopo la sentenza della Corte è invece possibile in ogni caso cessare la gravidanza fino alla 24esima settimana di vita nel grembo materno.
È da notare come i media scrivano piuttosto «nelle prime 24 settimane di gravidanza», come a dire che in fondo sono poche, che è «solo un feto, un grumo di cellule», come a voler smorzare l’orrore dell’uccisione di un bambino. Sarebbe bene ricordare loro innanzitutto che la vita inizia dal concepimento, e in secondo luogo che mediamente la gravidanza dura in tutto “soltanto” 40 settimane e a 24 un bimbo può sopravvivere al di fuori dall’utero, se ha genitori che lottino per lui e medici che se ne occupino con coscienza e un tribunale della capitale non decida diversamente.
A Bogotà, invece, tale tribunale l’ha fatto, con una sentenza nella quale i giudici costituzionali colombiani hanno esortato il Congresso a legiferare in merito a politiche sanitarie che includano «una chiara divulgazione delle opzioni a disposizione delle donne durante e dopo la gravidanza, l’eliminazione di ogni ostacolo all’esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi che sono riconosciuti nella presente sentenza, l’esistenza di strumenti e pianificazione di prevenzione della gravidanza, lo sviluppo di programmi educativi sull’educazione sessuale e riproduttiva per tutte le persone, misure di sostegno per le madri in gravidanza che includono opzioni di adozione, tra le altre, e misure che garantiscono i diritti dei nati nel caso di donne incinte che volevano abortire».
Esulta la lobby abortista, in Colombia e all’estero. «Apprezziamo il coraggio politico e legale della Corte costituzionale nel riconoscere che le donne e le ragazze non sono cittadine di seconda classe», ha affermato Paula Avila-Guillen, avvocato per i diritti umani a livello internazionale e direttrice esecutiva del «Women’s Equality Center» (WEC), con sede a New York. «Nel proteggere costituzionalmente la nostra autonomia sul nostro corpo e sulla nostra vita, la corte sta cambiando la vita di milioni di donne e ragazze». Sì, certo, specie di quelle che non nasceranno perché verranno abortite.
«Mentre oggi celebriamo questa decisione storica, l’ «Onda Verde» è forte e in crescita e la lotta per i diritti riproduttivi e la giustizia non finirà finché ogni persona non potrà accedere a cure sessuali e riproduttive di alta qualità quando e dove ne ha bisogno», ha dichiarato Eugenia Lopez Uribe, direttore regionale della International Planned Parenthood Federation, famigerato abortificio worldwide. Non c’è dubbio che la signora celebri, all’idea dei denari che entreranno nelle casse dell’azienda.
Celebra «[…] questa sentenza come una vittoria storica per il movimento delle donne in Colombia, che da decenni si batte per il riconoscimento dei loro diritti», pure Erika Guevara-Rosas, direttrice per la zona iberoamericana di Amnesty International. «Le donne, le ragazze e le persone in grado di avere figli sono le uniche che dovrebbero prendere decisioni sul proprio corpo», proclama sicura, con la consueta strizzatina d’occhio alle posizioni LGBT+.
Particolarmente sconfortante una seconda dichiarazione della Avila-Guillen della WEC, foriera di altre cattive notizie che si potranno udire nel futuro. «Sappiamo», ha detto, «che questo avrà un effetto a catena in altri Paesi dell’America Latina che devono ancora compiere questo passo verso i diritti umani e la giustizia sociale».
Diritti umani, giustizia sociale… invece, l’aborto in ogni caso uccide un bambino nel grembo materno.
Commenti su questo articolo