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L’aborto in ogni caso uccide un bambino nel grembo materno

Un rapporto recente mette a confronto la legislazione sull’aborto degli Stati Uniti e quelle del resto del mondo

Barbara Santambrogio di Barbara Santambrogio
14/02/2022
in In evidenza, Vita
792
Reading Time: 4 mins read
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Last updated on Febbraio 15th, 2022 at 11:56 am

Il Family Research Council (FRC), organizzazione non-profit statunitense che promuove il valore fondamentale della vita umana, la famiglia e la libertà religiosa, ha pubblicato di recente un rapporto assolutamente laico che mette a confronto la legislazione sull’aborto degli Stati Uniti d’America con quelle vigenti nel resto del mondo.

Il titolo è appunto La legge sull’aborto degli Stati Uniti a confronto con il mondo e il testo offre alcune considerazioni interessanti, a partire da un assunto di base che occorre tenere presente e far presente: «[…] poiché il progresso della scienza prenatale verifica continuamente che il nascituro nel grembo materno è un essere umano, l’affermazione che l’aborto sia un diritto umano si rivela sempre meno aderente alla ragione».

I dati proposti dal rapporto inducono riflessioni importanti e suscitano interrogativi.

Solamente sei Stati in tutto il mondo consentono l’aborto in tutte le fasi della vita del bambino nel grembo materno, sino a quella perinatale. Sono Canada, Cina, Vietnam, Corea del Nord, Corea del Sud e, appunto, gli Stati Uniti.

Solamente tre Paesi europei lo consentono dopo la quattordicesima settimana della vita del bambino nel grembo materno.

77 Paesi nel mondo non consentono l’aborto, completamente oppure con l’unica eccezione del grave rischio di vita per la madre.

23 Paesi non lo consentono, a esclusione dei casi di gravidanza che derivi da incesto o stupro, oppure in caso di anomalie fetali gravi del bambino.

57 Stati, fra cui l’Italia, non lo consentono dopo la dodicesima settimana di vita nel grembo, 5 dopo la ventiquattresima.

La fonte di questi dati è principalmente il Guttmacher Institute, organizzazione non a scopo di lucro che si definisce «pro-choice», fondata nel 1968, che «[…] promuove la salute e i diritti sessuali e riproduttivi», nata come costola della famigerata Planned Parenthood. Nulla di “confessionale”, quindi, anzi tutt’altro.

Colpiscono alcune osservazioni. Nel continente africano, per esempio, su 54 Paesi l’aborto è totalmente vietato in 9 di essi, consentito solo in circostanze specifiche e mai su base elettiva in 41; soltanto 4 Stati permettono l’aborto elettivo e nessuno, comunque, dopo la dodicesima settimana di vita nel grembo.

L’Asia, come si è detto, detiene il triste record del continente con il maggior numero di Paesi in cui l’aborto è legale.

In America del Nord e nell’area ibero-americana, oltre ai già citati Canada e Stati Uniti che si collocano fra i sei campioni in negativo, un caso particolare di cui il rapporto dà informazioni è quello di Cuba. «Dal 1965» scrivono gli autori «Cuba è dominata dal partito comunista creato sotto Fidel Castro. Non a caso, anche l’aborto elettivo a Cuba è stato istituzionalizzato nel 1965 ed è attualmente consentito durante le prime 12 settimane di gravidanza. L’aborto dopo 12 settimane è consentito nei casi di stupro, presenza di un’anomalia fetale, disagio economico e per proteggere la vita o la salute fisica o mentale della madre; in altre parole, l’accesso è virtualmente illimitato». La conclusione del paragrafo dedicato all’isola caraibica è raggelante: «Sia a Cuba sia in Cina, gli aborti in prossimità della data del parto vengono eseguiti utilizzando il farmaco Rivanol, che provoca l’espulsione prematura dall’utero del bambino, che viene poi lasciato morire». Della Cina e dell’uso spietato e criminale che Pechino ha fatto e fa dell’aborto, comunque, «iFamNews» ha riferito in numerose occasioni.

Il rapporto del Family Research Council prosegue con l’analisi delle condizioni di accesso all’aborto in questi e negli altri Paesi comunisti o ex-comunisti, dopo di che apre una serie di domande che non possono lasciare indifferenti.

«La stragrande maggioranza degli Stati limita gli aborti almeno in una certa misura», si legge. «La domanda è: perché? Perché la maggior parte dei Paesi europei limita l’aborto a 12 settimane? Perché molti Paesi africani e sudamericani vietano l’aborto tranne nei casi in cui la vita della madre è a rischio? Perché 26 Stati nel mondo vietano l’aborto senza eccezioni? E perché la maggior parte dei Paesi che consentono l’aborto per 40 settimane sono famigerati violatori dei diritti umani?». 

La conclusione che gli autori ne traggono è significativa: «La risposta sta nella definizione di cosa sia l’aborto. O è l’uccisione di un bambino innocente, non ancora nato, nel grembo materno, o non lo è. Se non lo è, allora le restrizioni all’aborto di tutti gli Stati tranne sei non hanno senso logico. Ma se, come indicano tutte le ricerche scientifiche, l’aborto uccide un bambino innocente non ancora nato, allora dovrebbe essere bandito in tutto il mondo». Verissimo.

Tags: Aborto
Barbara Santambrogio

Barbara Santambrogio

Dopo un percorso lavorativo originale e variegato, nel campo della pubblicità e dell’editoria, ma anche nel mondo enologico, è approdata finalmente a occuparsi di quanto più la appassiona. Oggi scrive (per il web, ma non solo), si occupa di traduzioni e insegna nella scuola primaria. Mamma biologica e adottiva, ama leggere e il running.

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