Dio non esiste e la religione è dannosa. Lo dice la scienza stessa, non si può obiettare, non si può negare.
È quanto afferma Li Shen, accademico, che si occupa principalmente di confucianesimo e di ateismo, nel libro I principi dell’ateismo cinese, da poco adottato nei college di tutta la Cina e “caldamente consigliato” in lettura ai quadri del Partito Comunista Cinese (PCC). Il volume, pubblicato dalla casa editrice Bashu, con la copertina bianca immacolata e il titolo vergato in nero, è ponderoso: 400mila caratteri, a quanto pare frutto di un lavoro durato sei anni.
Il libro si compone di quattro capitoli, intitolati nell’ordine «Cos’è Dio», «Prova della non esistenza di Dio», «Gli dei e i loro effetti» e «La teoria religiosa e la politica religiosa del Partito Comunista».
Infatti il testo, come scrive Peng Huiling per Bitter Winter, il magazine online che si occupa di diritti umani e libertà religiosa, con un occhio particolare proprio rivolto alla Cina, si inserisce perfettamente «nell’ambito della campagna di attuazione delle decisioni della Conferenza nazionale sul lavoro relativo agli affari religiosi del dicembre 2021, dove il libro è stato presentato per la prima volta. Il libro di testo è promosso come una risposta alle istruzioni di Xi Jinping in quella conferenza secondo cui le opinioni di Marx sulla religione dovrebbero essere studiate più a fondo all’interno del PCC».
Li Shen, insomma, una volta di più si fa grancassa delle posizioni del capo indiscusso del Partito e del Paese, Xi Jinping, come sottolinea il direttore di «iFamNews», Marco Respinti, in un articolo pubblicato dal quotidiano Libero martedì 8 febbraio.
Convinto assertore della teoria del suo leader secondo cui la cultura cinese è sempre stata intrinsecamente non religiosa, quindi, nonché della posizione sostenuta anche dal PCC in base alla quale il confucianesimo sarebbe essenzialmente una forma di ateismo, Li Shen nella sua “bibbia” atea e devastatrice giunge alla conclusione estrema: «[…] sia la non esistenza di Dio sia l’effetto dannoso della religione sono stati dimostrati scientificamente, attraverso un processo in atto sia nella filosofia occidentale sia in quella cinese, culminato nelle dimostrazioni definitive di Karl Marx e del PCC in Cina».
«La promozione del libro di Li», continua Bitter Winter, «conferma la svolta delle istituzioni cinesi che si occupano di religione e dei dipartimenti di religione nelle università da uno studio un po’ più “neutrale” delle questioni religiose alla propaganda per l’ateismo marxista».
Di «neutrale» rispetto alle questioni religiose, però, il regime neo-post-nazional-comunista cinese non ha mai avuto granché. In Cina, infatti, sono cinque le religioni riconosciute e di cui, finora, Pechino ha tollerato l’esistenza nel Paese: il buddhismo, il taoismo, il cattolicesimo, il protestantesimo e l’islam. Le tollera, appunto, purché imbrigliate e irreggimentate in “associazioni” ufficiali legate mani e piedi al volere del Partito, e lo fa probabilmente perché troppo diffuse e troppo in vista all’estero, nei Paesi occidentali, per potersi permettere di spazzarle via. Per il momento.
Tutto ciò che esula da queste associazioni ufficiali è considerato xie jiao, «setta malvagia», e viene perseguitato ferocemente in tutti i modi possibili. Lo sanno bene per esempio i Testimoni di Geova, i seguaci del Falun Gong, i fedeli della Chiesa di Dio Onnipotente, gli uiguri musulmani.
Oggi, con il libro di Li Shen su tutti i comodini delle università e del Partito, si fa più viva la preoccupazione anche per quei rimasugli di libertà religiosa, per quanto limitata e di facciata, che le religioni “ufficiali” erano riuscite a mantenere. Nell’attesa di essere spazzate via, si diceva, dall’ateismo di Stato.
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