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Jacinda Ardern: la “normalità” di essere mamma. Ma a che prezzo?

Il drammatico paradosso della Nuova Zelanda: il premier è una mamma oggi acclamatissima, mentre neonati agonizzanti vengono lasciati morire (grazie alla sua legge)

Cristina Tamburini di Cristina Tamburini
28/11/2021
in Famiglia
77
Reading Time: 5 mins read
0
Jacinda Ardern: la “normalità” di essere mamma. Ma a che prezzo?

Image from Google Image

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Last updated on Dicembre 1st, 2021 at 04:39 am

Il siparietto è tanto delizioso da parere quasi programmato ad arte: il primo ministro neozelandese, Jacinda Ardern, comunica al Paese, con uno stile ampiamente lodato, tramite Facebook Live. Improvvisamente la figlioletta Neve, tre anni d’età, la interrompe reclamando la mamma per il bacio della buona notte. Com’è “normale” che sia: ogni bimbo desidera l’ultimo saluto della mamma, prima di abbandonarsi al sonno.

Non è, per altro, la prima apparizione social  per la bimba: la mamma l’aveva portata con sé all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 24 settembre 2018, in occasione del Nelson Mandela Peace Summit, suscitando già allora tenerezza e soddisfazione per l’abbattimento «di molte ipocrisie e pregiudizi sul binomio donne e lavoro».

Aragoste di cartapesta e coniglietti pasquali: assieme per governare

Anche in questa occasione grande plauso si leva dunque nei confronti di una donna che, senza «panico né imbarazzo», risponde alla sua bambina «è ora di andare a dormire tesoro, torna a letto e verrò a trovarti tra un secondo» come se fosse «la cosa più normale del mondo (forse proprio perché lo è?)». Quel che colpisce il grande pubblico è «come la Ardern riesca sempre a normalizzare il fatto di essere donna e premier, mamma e premier». Sembra quasi uscita da una pubblicità della Chicco, dove le mamme rivendicano «non vogliamo scegliere chi diventare, perché vogliamo essere noi stesse e mamme».

Impossibile non rammentare, per gli amanti del tradizionale film natalizio Love Actually (2003), una superba Emma Thompson “lamentarsi” dei risvolti della parentela con il premier britannico: «il guaio di essere la sorella del primo ministro è che ti fa vedere la vita in una prospettiva deprimente. Che cosa ha fatto mio fratello oggi? Si è alzato in difesa del suo Paese. E che cosa ho fatto io? Ho costruito una testa d’aragosta in cartapesta».

Da allora le cose son cambiate, le donne stanno lottando, strenuamente, per abbattere questa dicotomia e prima fra tutte la Ardern insegna che è possibile guidare un Paese durante l’emergenza di una pandemia, con la collaborazione di coniglietti pasquali e fatine dei denti, provvedendo anche al materiale per i lavoretti dei bambini.

Neve, nel pigiamino di flanella… e gli altri?

Nei nuovi tempi “illuminati” che abbiamo il privilegio di vivere, dunque, «cosa vuol dire avere una mamma al governo? Vuol dire organizzare le live di aggiornamento sulle misure governative la sera dopo aver messo a letto i figli, vuol dire risolvere degli “inconvenienti” inaspettati senza scontentare nessuno», senza avere bisogno di «passare dalla modalità “premier” alla modalità “mamma». Il vero pregio della Ardern sarebbe quello di essere «entrambe le cose assieme in ogni momento».

Ed ecco il punto veramente interessante: Jacinda Ardern, la mamma premier che non ha alcun bisogno di dividersi tra “personaggi” diversi da rappresentare nei diversi momenti della sua giornata, donna, politica e mamma amorevole, è la stessa donna ad aver fortemente voluto – e ottenuto – per la Nuova Zelanda la legge sull’interruzione di gravidanza più estrema al mondo, in base alla quale i bambini nati vivi dopo un aborto tardivo senza successo vengono lasciati agonizzare senza assistenza medica, fino alla morte.

Così, mentre si festeggia il bambino più prematuro al mondo sopravvissuto dopo essere nato a 21 settimane di 420 grammi, finalmente tornato a casa, a 16 mesi di vita, dopo una battaglia fatta di mesi attaccato al respiratore e interminabili settimane di ospedalizzazione, altri bambini come lui si sono trovati fuori dal grembo materno, ma nessuno è intervenuto per sostenerne la vita. Bambini perfettamente sani, che muoiono di asfissia, perché le loro mamme non hanno la possibilità, le capacità e il sostegno necessario per accogliere le loro piccole vite.

Ed è una mamma, una mamma “a tempo pieno”, come appare sorridente nei video alla nazione, ad avere sostenuto e appoggiato una legge che rende possibile questo stato di cose, respingendo con forza l’emendamento che domandava – per lo meno – l’obbligo di cura per i bambini nati vivi dopo aborti falliti.

La schizofrenia pragmatica delle donne al potere

Eppure chi più di una madre dovrebbe potere e sapere riconoscere il valore intrinseco di ogni persona umana e la necessità di difendere strenuamente, in ogni circostanza, la possibilità di vita, e di vita buona, per ogni bambino che giunga sulla Terra? Come può una madre voler decretare per legge una vera e propria pena di morte come quella che grava oggi, in Nuova Zelanda, su ogni concepito fino al giorno del parto?

La risposta è tanto drammatica, quanto semplice: in un mondo dove le donne si trovano ad affermare che «l’aborto mi ha permesso di diventare la madre che volevo essere», esprimendo la propria «gratitudine alla società in cui è permesso l’aborto» è evidente che il potere delle donne ha effettivamente a che fare con la morte dei figli.

«Una essenza totalmente indeterminata e la possibilità di seguire qualsiasi istinto e capriccio, purché le conseguenze non intralcino le proprie aspirazioni, qualsiasi esse siano: questo l’identikit della donna “liberata” dall’aborto»: libertà anche di diventare – perché no? – primo ministro e mamma, per chi avesse la fortuna di condizioni adeguate e un sostegno costante. La stessa Ardern ringrazia per la presenza della propria madre, che è lì per aiutarla.

Per chi si trova nelle giuste circostanze, con gli aiuti necessari e già alle spalle una storia di successo lavorativo, anche pubblico, la maternità è fonte di soddisfazione, gratificazione, addirittura di plauso generale. Per chi si trovasse invece in difficoltà, non trovasse il giusto sostegno, magari in condizioni lavorative ed economiche precarie, molto meglio liberarsi dell’eventuale “impiccio” di un figlio. È il bambino che, in quella situazione, si trova fuori posto: perché tentare di cambiare le circostanze, quando è tanto più rapido liberarsi direttamente di lui?

Ci vuol realismo, suvvia: quante donne hanno le capacità di una Jacinda Ardern? Per tutte le altre, quelle “normali”, si aprono vie decisamente meno complesse: la sterilizzazione chirurgica, per esempio.

Tags: AbortoFamigliaHighlightIl domenicaleVetrina
Cristina Tamburini

Cristina Tamburini

Cristina Tamburini, laureata in Filosofia con una tesi in Antropologia filosofica sull'utilitarismo contemporaneo, moglie e mamma di sette figli, non ha mai abbandonato lo studio e la passione per l’antropologia filosofica, l’etica e la bioetica. Ha tradotto in italiano diversi testi, fra i quali Azione e condotta: Tommaso d’Aquino e la teoria dell’azione di Stephen L. Brock e Intenzione di G. Elizabeth M. Anscombe, estendendo i propri interessi alla Teologia (in particolare all’Escatologia e alla Dottrina sociale della Chiesa). Ha curato il blog Sì, sono tutti miei! per raccontare e approfondire il maternage e la quotidianità in una famiglia numerosa.

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