Lis Group è una società di distribuzione che gestisce il magazzino di «Yoox Net a Porter», portale di vendita online di moda e design, all’Interporto di Bologna. Nel marzo 2020, subentrando nell’appalto alla gestione precedente, la Lis ha modificato l’orario di lavoro dei dipendenti, cancellando il turno centrale dalle 8.30 alle 15.30 e stabilendo invece un primo turno dalle 5.30 alle 13.30 e un secondo dalle 14.30 alle 22.30.
Paiono cavilli da sindacalisti incalliti, invece no. Perché questi orari sono stati imposti anche ai lavoratori e alle lavoratrici con figli piccoli, minori di 12 anni, rendendo così pressoché impossibile occuparsi di loro, a meno di non ricorrere all’aiuto dei nonni, che non tutti hanno, o di una babysitter, per cui non tutti hanno i denari.
Di qui la decisione, per molte delle 130 lavoratrici coinvolte, italiane e straniere, di dimettersi. La cura dei figli infatti, specie quando sono piccoli, è ancora e per fortuna affidata in prevalenza alle madri, sia per scelta, come quasi sempre, o per necessità. Altre invece si sono rivolte ai sindacati e con il ricorso della consigliera di Parità della Regione Emilia Romagna, Sonia Alvisi, ne è nata una vertenza che si è risolta di recente, quando il Tribunale di Bologna ha emesso una sentenza esecutiva con la quale ha imposto alla Lis di ripristinare il turno cancellato, cui destinare le lavoratrici madri con bambini piccoli, oppure concordare con loro un orario di lavoro compatibile con le esigenze familiari.
Chiara Zompi, il giudice che ha firmato la sentenza, ha decretato inapplicabile la «[…] imposizione anche ai lavoratori e in specie alle lavoratrici con figli minori in tenera età del nuovo orario di lavoro su due turni», disponendo «[…] la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti delle discriminazioni accertate». Secondo il giudice, infatti, l’azienda non avrebbe tenuto in considerazione il «fattore di rischio» indicato nella genitorialità e maternità.
Con «fattore di rischio» si intende l’insieme «[…] di tutti quei comportamenti subdoli che possono sembrare neutri, ma che in realtà mettono i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a quelli dell’altro sesso. Lo prevede espressamente l’art. 25 del Codice delle pari opportunità (d.lgs 198/2006), che ammette eccezioni solo in caso di quelle che sono definite come “azioni necessarie e appropriate per lo svolgimento dell’attività aziendale”», chiarisce l’avvocato Marisa Marraffino, che aggiunge: «La riforma del 2010, che ha recepito una direttiva comunitaria, ha incluso espressamente tra i fattori di discriminazione la gravidanza, la maternità e la paternità – anche adottive – considerando discriminatorio ogni trattamento sfavorevole legato a chi è in queste condizioni».
Nell’attesa che il nostro Paese si decida a porre in atto misure che proteggano non solo i diritti – sacrosanti – delle madri lavoratrici, ma anche quelli delle madri che preferissero invece dedicarsi alla cura dei figli, applicando per esempio una politica fiscale veramente favorevole alle famiglie, invece della ridicola «mancetta» dell’assegno unico, è interessante un altro aspetto toccato dalla sentenza bolognese.
Nel testo, infatti, sono citati anche «[…] “i gravi disagi e le alterazioni dei ritmi e delle abitudini di vita, potenzialmente forieri di conseguenze sul benessere psico- fisico dei figli”. È un’applicazione corretta del diritto dei figli alla genitorialità. Si tratta di un diritto fondamentale, tutelato anche dalla Costituzione. I bambini, soprattutto i più piccoli, hanno bisogno di una vita regolare e ritmi che siano il più possibile rassicuranti», come ha approfondito l’avvocato Marraffino.
Era ora che qualcuno, finalmente, parlasse di questo: dei bambini e dei loro, di diritti.
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