È stato presentato nelle ultime settimane il rapporto Randstad Research intitolato Le isole delle donne inattive tra i 30 e i 69 anni, ripreso in questi giorni dai media nazionali e dedicato alla condizione attuale dell’occupazione femminile nel nostro Paese.
Nel rapporto, viene sintetizzato un panorama nel quale in Italia quasi una donna su due fra i 30 e i 69 anni è inattiva, per una percentuale del 43%. La media europea è del 32% e quella tedesca del 24%, mentre in Svezia si attesta al 19%.
I numeri parlano quindi di oltre 7 milioni di donne che non lavorano né cercano occupazione, a fronte di un totale di occupati di 20 milioni di lavoratori. Secondo il rapporto, […] la maternità comporta forti conseguenze sulla scelta di rimanere o uscire dal lavoro, […] per assenza di supporti alternativi durante la carriera, con poche possibilità di rientro».
La soluzione? Secondo alcuni si potrebbe arginare quello che viene definito essenzialmente un «danno economico» con l’incremento del numero degli asili nido, congedi parentali estesi ai padri ed eventualmente sgravi fiscali per il secondo stipendio che entrasse in famiglia.
Pare che nessuno ipotizzi che una donna preferisca ampiamente crescere i bambini invece di mandarli al nido, gradisca aiutare i genitori anziani a casa loro invece di rinchiuderli in una RSA, apprezzi occuparsi dei figli invece che di catene di montaggio o consigli d’amministrazione. Men che meno si ipotizzano sgravi fiscali veri per i padri, non sia mai che possano così mantenere dignitosamente la famiglia.
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