La paventata ripresa dell’inflazione in Italia è legata in particolare ai fortissimi rialzi delle materie prime energetiche, con rincari a doppia cifra delle bollette di gas e luce, e si è estesa inevitabilmente anche ai prezzi del carrello della spesa: negli ultimi mesi, il tasso annuo di inflazione è balzato verso il 7% negli Stati Uniti d’America, sui massimi dal 1982, e al 5% nell’area euro, sui massimi dal 2008. Che cosa sta accadendo?
Tra le cause remote dei rialzi dei prezzi si possono sicuramente indicare le politiche monetarie ultra-espansive adottate dalle Banche centrali. Dalla «Grande crisi finanziaria» del 2007-2009 le autorità monetarie mondiali hanno inondato i mercati di enormi flussi di liquidità creata ex nihilo – in ulteriore fortissima accelerazione dopo la crisi del CoViD-19 –, mantenendo compressi i tassi nominali di rendimento dei titoli governativi e perseguendo con accanimento il rialzo dell’inflazione, in modo da “svalutare” nel tempo, in termini reali, i debiti pubblici e privati fuori controllo.
Tra le cause prossime del rincaro vi sono le politiche fiscali espansive attuate dai governi per fronteggiare la crisi economica indotta dai lockdown generalizzati, che hanno provocato la frammentazione delle filiere produttive e distributive, con sensibili restrizioni e strozzature dal lato dell’offerta, anche sulle forniture energetiche, con ovvie conseguenze sui prezzi: squilibri, per di più esacerbati dal contestuale incremento della domanda, artificialmente spinta dalle suddette politiche monetarie e fiscali fortemente espansive oltre che dalla ripartenza delle economie dopo trimestri di sostanziale blocco.
Il combinato di questi interventi non poteva insomma che generare marcate tensioni inflazionistiche, con impennate così evidenti da mettere in imbarazzo le stesse Banche centrali, che debbono ora trovare delle giustificazioni per poter continuare a perseguire le proprie politiche ultra-espansive.
Probabilmente saranno costrette a rivedere un po’ il tiro, ma c’è da scommettere che manterranno comunque in territorio negativo i rendimenti reali (ovvero i rendimenti nominali sottratto il tasso di inflazione): e quindi i risparmiatori/creditori resteranno penalizzati, a favore dei debitori.
A queste cause generali, valide pressoché ovunque nel mondo, si aggiungono in Europa motivazioni specifiche legate alle scelte di politica energetica condotte degli anni passati, con investimenti insufficienti e senza adeguata diversificazione dei fornitori e delle fonti energetiche stesse.
Queste scelte che hanno portato a una situazione di fragilità strutturale, esacerbata negli ultimi trimestri dalle tensioni con la Russia, nostro principale fornitore di gas (pesa per circa il 40% del fabbisogno dell’Italia). E ai costi si aggiungono tematiche di sicurezza dell’area, rese ancora più evidenti dall’escalation delle tensioni tra Russia e Ucraina. Stupisce che la Commissione Europea, sempre in prima fila quando si parla di “sostenibilità”, non si sia neppure posta il problema.
Insomma, le motivazioni delle tensioni sui prezzi degli ultimi mesi sono molte e interconnesse. Non si tratta però di speculazioni a fronte di eventi naturali avversi e imprevedibili: si tratta, più semplicemente, di inevitabili conseguenze di scelte politiche errate.
A tale proposito, il catastrofismo ecologista – che non ha nulla a che vedere con una ecologia intelligente – porta sicuramente una parte importante di responsabilità. In Europa la cosiddetta decarbonizzazione, con la chiusura programmata delle centrali a carbone e l’obiettivo di arrivare a emissioni nette di anidride carbonica nulle per il 2050, sta infatti determinando una “transizione energetica” assai accidentata, che paga il prezzo di scelte ideologiche.
Anche se l’epicentro della crisi energetica al momento è in Europa, la transizione ecologica decisa nell’Agenda ONU 2030 sul cosiddetto «sviluppo sostenibile» avrà inevitabilmente un impatto globale e duraturo nel tempo: è uno tra i punti chiave, anche se non l’unico, del progetto del ««Great Reset» per gli anni Venti del nostro secolo. Le ideologie, lo insegna la storia, sono sempre state costose, anche sul piano economico. Il conto lo pagano ora i risparmiatori, i consumatori e i titolari di redditi fissi, salari, stipendi e pensioni, a partire dalla classe media e medio-bassa. Ci troviamo di fronte a un nuovo “fallimento della politica”, di cui nessuno chiederà scusa alle famiglie.
Commenti su questo articolo