Last updated on Agosto 30th, 2021 at 03:22 am
In Cina le coppie potranno mettere al mondo un terzo figlio. La notizia è vecchia. Circola, anzi è ufficiale da mesi. La nuova concessione dello Stato vige infatti dal 31 maggio. Certo, come «iFamNews» ha immediatamente segnalato allora, si è trattato di un via libera di fatto, visto che il decreto di liberalizzazione del «terzo figlio» non era disponibile, ma quando in un Paese totalitario come la Cina neo-post-nazional-comunista, dove il controllo sui cittadini viene praticato capillarmente con l’impiego della tecnologia più sofisticata, la notizia viene diramata al mondo attraverso la stampa più ligia al regime, quale l’agenzia di stampa Xinhua e i quotidiani in lingua inglese People’s Daily e Global Times, nessuno nutre più dubbi.
La notizia ritorna però oggi in primo piano perché il 20 agosto il Comitato permanente del Congresso nazionale dei rappresentanti del popolo, ovvero il parlamento monocamerale cinese, ha approvato gli emendamenti di modifica alla Legge sulla popolazione e sulla pianificazione familiare che nel 2001 (qui è disponibile una traduzione inglese) stabilì il quadro giuridico di riferimento della politica demografica del Paese con burocratica meticolosità. Nel 1979, infatti, per cercare di riparare ai guasti socio-economici imposti dalle politiche maoiste, fu decisa quella politica del «figlio unico» che comportò aborti forzati, sterilizzazioni e infanticidi su scala industriale per essere poi orgogliosamente inserita nell’Articolo 25 dei Princìpi generali della quarta Costituzione della Repubblica popolare cinese adottata nel 1982.
La legge quadro del 2001 era però già stata modificata il 27 dicembre 2015, quando alle coppie cinesi era stato consentito avere un secondo figlio. Oggi che finalmente la cicogna batte il terzo colpo, continuano però a essere più numerose le domande delle risposte.
Anzitutto e soprattutto perché il testo dell’emendamento approvato il 20 agosto ancora manca. Non si riesce cioè ancora a leggere chiaro e netto cosa il regime cinese abbia deciso, quali confini abbia posto, quali paletti abbia invece levato, cosa riservi il futuro. Le ricerche sul web sono del tutto infruttuose e le poche indiscrezioni di stampa disponibili in lingua inglese o in italiano, riflettendo l’elusivo comunicato di regime diffuso da Xinhua, non aiutano affatto.
Perché «iFamNews» è felice che la politica del «figlio unico» non esista più, gioisce perché la politica dei «due figli» è solo un ricordo, ringrazia il Cielo perché la politica del «terzo figlio» ridurrà sensibilmente il numero degli aborti coatti, quello delle sterilizzazioni, quello dei neonati lasciati a morire per strada e quello dei bambini sottratti ai genitori per finire immessi sul mercato, ma al contempo si preoccupa del “quarto figlio” cinese. E del quinto, e del sesto, e del settimo, e dell’ennesimo.
Lo riscrivo subito affinché sia cristallino per sempre. Ogni politica che riduca i morti ammazzati dall’aborto, le misure contro la natalità, la distruzione della famiglia, la contraccezione, le sterilizzazioni di donne e di uomini, l’abbandono a morte certa dei bambini per le strade e il commercio di quelli sopravvissuti è un bene, chiunque lo stabilisca, decida e implementi, qualsiasi uomo politico, qualsiasi partito, qualsiasi regime lo faccia. Quindi bene se in Cina si muore e si patisce meno. Ma, come sappiamo da sempre, accontentarsi del male minore non è moralmente lecito, e la verità è o tutta o niente.
La sola idea che sia lo Stato a decidere il numero di figli che una famiglia può mettere al mondo è totalitaria. L’idea che uno Stato totalitario suoni la famiglia come una fisarmonica, allargandone e comprimendone il mantice a seconda del proprio calcolo, è aberrante. Se pure le politiche d’incentivo demografico promosse dagli Stati in ottica solo economica e di potere non mi convincono mai, ovvio che io saluti con piacere tutto ciò che, oggettivamente, favorisce la vita e la famiglia: ma se la logica è semplicemente quella del fabbisogno contingente (oggi il calo demografico, ieri il suo presunto surplus), quella suonata dalla fisarmonica statale è sempre una musica di morte.
Mi chiedo, cioè, anzi chiedo al regime comunista cinese, e mi piacerebbe chiederlo al resto del mondo affinché anche il resto del mondo lo domandasse a propria volta al regime comunista cinese, cosa succede alle coppie cinesi dopo il terzo figlio. Il quarto figlio, cioè, farà la fine che facevano i terzi figli quando lo Stato totalitario ne consentiva solo due e quella che facevano i secondi quando lo Stato totalitario ne imponeva uno? Verrà ammazzato ancora nel grembo della propria mamma dalla ragion di Stato? E le famiglie disobbedienti verranno penalizzate, multate, vessate? Le coppie cinesi che sfuggissero all’aborto coatto, portando a termine quella gravidanza indesiderata dallo Stato totalitario, finirebbero ancora per abbandonare la creaturina all’addiaccio per paura di ritorsioni? E i trafficanti, tollerati o persino aiutati da funzionari del regime, sottrarranno, armati di ricatto, alle madri terrorizzate i quarti figli che dovessero scamparla onde lucrarne?
I nuovi emendamenti approvati il 20 agosto tacciono. Non so dove leggerne, e un brivido mi corre lungo la schiena. Ma è proprio ciò che accade dopo il terzo figlio la vera chiave di volta dell’intera questione.
Il regime cinese non ha mai messo nero su bianco la sorte dei secondi e dei terzi figli quando li vietava. Non ha scritto che dovessero essere massacrati, non ha particolareggiato che le madri dovessero essere insterilite come bestie da lavoro, non ha dettagliato le ritorsioni crudeli contro le coppie disobbedienti, non ha ammesso né gli abbandoni a morte per strada dei bimbi né le sottrazioni dei sopravvissuti alle famiglie, eppure si è vantato in lungo e in largo di avere “ridotto” la popolazione cinese di milioni di esseri umani. Quindi non troverò scritto cosa accade oggi in Cina al quarto, al quinto, al sesto, all’ennesimo figlio anche se prima o poi riuscissi finalmente a leggere ciò di cui il mondo parla senza avere letto.
Per questo la mia domanda al governo totalitario cinese – che ancora una volta decide chi vive e chi muore, e quando questi viva e quando muoia – si alza nel tono, cresce, si fa angoscia, diventa urlo.