Last updated on Giugno 14th, 2021 at 07:50 am
Quando odo il termine «demografia» affiancato alla parola «governo» tremo. Mi vengono subito alla mente i «figli alla patria» oppure la «one-child policy» cinese, follie uguali e contrarie.
Oggi si aprono gli Stati Generali della Natalità, alla vigilia della Giornata internazionale delle famiglie. Sarà una grande cosa, soprattutto sarà una grande occasione. L’occasione per tenere il più possibile lontano il «governo» dalla «demografia». O, quantomeno, è questo l’augurio che faccio ai lavori.
Non la politica, però, lontana dalla «demografia». Se è vero che ogni storico serio non può prescindere dalla demografia, e se è vero che chi sbaglia storia sbaglia politica, significa che demografia e politica negli occhi si debbono guardare.
Ma non è dai governi che vengono le soluzioni. Dai governi dovrebbe invece venire la rimozione degli ostacoli.
Se il governo italiano rimuoverà le barriere, per esempio fiscali, ma non solo, che penalizzano la famiglia e la natalità, allora avrà sgomberato il campo per una politica buona, quella che sono le famiglie, non i governi, a dover fare.
La storia della demografia politica dell’Italia la fanno cioè le famiglie, che sono i luoghi dove le persone nascono e maturano in tutta la propria umanità.
Non è un governo il luogo dove si forma quella fondamentale educazione alla vita che è la premessa necessaria di ogni apertura alla natalità. Non è a un governo che spetti “mettere al mondo figli”. Spetta alla famiglia. Ma oggi la famiglia è demoralizzata: come fare dunque per invertire la rotta?
Nessuno lo sa, e, a modo suo, fa anche parte del bello della cosa. L’unica cosa sicura è che occorra ripartire dalla bellezza della famiglia, dunque dal valore della natalità che ne è parte integrante. E finché le persone non saranno intimamente convinte di questo, non vi sarà politica per la famiglia e nessun governo potrà fare altro se non aggiungere danno a danno.
Per tornare a convincere le persone del valore della natalità e della bellezza della famiglia bisogna ricominciare daccapo tutto. Ripartire dal principio e dal fondamento, chiedersi cosa sia l’uomo, cosa l’uomo stia al mondo a fare, cosa sia la società che l’uomo anima, cosa sia la storia che l’uomo abita. Un’impresa immensa. Ma se non cominciamo mai, mai la rotta si invertirà. Tra «figli alla patria» e «one-child policy», insomma, è la cultura della vita che la sfanga. Affidarsi a surrogati e a prestanome serve solo ad aumentare il danno.
Che gli Stati Generali della Natalità siano oggi una grande oasi di laissez-faire, di sovranità ritrovata della famiglia, di protagonismo della persona, di rinascita della vita. Se sarà così, gli Stati Generali della Natalità scriveranno la storia e cambieranno la politica. È il mio augurio e la mia aspettativa.
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