Last updated on Luglio 8th, 2021 at 05:56 am
Tra meno di un mese avranno inizio le Olimpiadi di Tokyo, posticipate di un anno a causa della pandemia di CoViD-19. Questa edizione sarà caratterizzata da una novità: la partecipazione di atleti biologicamente maschi in competizioni femminili. Il primo a ottenere il pass è stato il neozelandese Laurel Hubbard, all’anagrafe Gavin. Per lui l’esordio avverrà il 2 agosto, quando a Tokyo punterà a una medaglia nella categoria 87+ della gara di sollevamento pesi. Con i suoi 43 anni sarà l’atleta più anziano in questa competizione. Figlio dell’ex sindaco di Auckland, fino al 2013 aveva gareggiato in categorie maschili senza particolari successi. Il cambio di registro c’è stato dopo che ha completato il percorso di transizione di genere: si è tolto diverse soddisfazioni, tra cui un argento ai Mondiali del 2017 e un oro ai Giochi del Pacifico nel 2019.
L’inganno del testosterone
La svolta per gli atleti transessuali risale al gennaio 2016, quando il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha stabilito che gli uomini che vogliano gareggiare in competizioni riservate al sesso opposto al proprio non necessitano più di un intervento chirurgico, ma per loro è sufficiente abbassare il livello di testosterone. La decisione è stata però stroncata da uno studio pubblicato su Sports Medicine e ripreso dal quotidiano britannico The Guardian: i ricercatori hanno infatti rilevato che la perdita di massa corporea magra, area muscolare e forza è soltanto del 5% dopo dodici mesi di assunzione di farmaci per ridurre il testosterone. Anche quando, spiegano, quest’ultimo viene soppresso in quantità importante, ossia di un nanomole per litro (nmol/L), non «viene eliminato il vantaggio antropometrico di massa/forza muscolare in modo significativo».
Beffa per l’avversaria donna
I successi di Hubbard tra le concorrenti donne, in effetti, dimostrano che il vantaggio di un atleta uomo viene scalfito in modo non determinante dall’abbassamento del livello di testosterone. La sua partecipazione tra le donne ai Giochi di Tokyo è stata salutata con entusiasmo dal Comitato olimpico della Nuova Zelanda, la cui presidente Kereyn Smith ha commentato: «Abbiamo una forte cultura del manaaki, cioè dell’inclusione e del rispetto per tutti». Peccato che questa cultura dal nome esotico non contempli in questo caso l’amarezza beffarda che inevitabilmente avrà colpito l’atleta che non potrà partecipare alle Olimpiadi perché il suo posto è stato occupato da un avversario biologicamente uomo.
«Brutto scherzo»
A quanto riferisce La Verità, l’atleta esclusa dalla performance di Hubbard sarebbe Kunini Manumua, di Tonga. Da parte di quest’ultima non risultano esserci reazioni pubbliche. Ad esprimere forte dissenso è invece la sollevatrice di pesi belga Anna Vanbellinghen, la quale ha parlato di un «brutto scherzo» sottolineando che è ingiusto che «ad alcune atlete vengono tolte opportunità che cambiano la vita, e noi siamo impotenti». Sulla stessa lunghezza d’onda il primo ministro di Samoa, Tuilaepa Sa’ilele Malielegaoi: «Non è facile per le atlete allenarsi a lungo per poi vedere che vengono permesse cose così stupide».
Donne zittite
Fa riflettere quanto ha rivelato qualche settimana fa l’ex sollevatrice di pesi neozelandese Tracey Lambrechs: alle donne viene chiesto di «tacere» quando osano avere dubbi sulla correttezza di ammettere Hubbard alle competizioni femminili. Curioso questo modus operandi mentre si parla tanto di emancipazione delle donne. La Lambrechs ha raccontato che l’insofferenza tra le atlete è diffusa, ma non trova il modo di potersi esprimere pubblicamente.
La lettera dell’atleta canadese
Qualcosa, tuttavia, si muove. L’ex campionessa di atletica, la canadese Linda Blade, ha recentemente scritto una lettera al CIO – ripresa da FeministPost – per denunciare che la decisione di ammettere atleti trans alle competizioni femminili è stata presa «senza un’ampia discussione e senza informare le interessate», ovvero le atlete donne. La Blade parla di una decisione «scandalosa e ingiusta» e offre una serie di studi che dimostrano i vantaggi degli uomini nel gareggiare con le donne, anche laddove abbiano abbassato i propri livelli di testosterone.
E aggiunge: «Nessuno vuole che le Olimpiadi di Tokyo 2020 siano ridicolizzate e svergognate come il momento “storico” in cui un uomo è salito sul podio olimpico che spettava a una donna». Di qui il suo appello ai media affinché raccontino che il CIO sta sbagliando. Chissà se qualche altro organo d’informazione deciderà di raccogliere l’appello dando voce alle donne, o se preferirà zittire la loro protesta.