Quando, nel settembre 2020, la celebre piattaforma di streaming a pagamento Netflix ha inserito nel palinsesto la pellicola Cuties, nell’originale francese Mignonnes, in Italia Donne ai primi passi, «iFamNews» è stata in prima fila per contrastarlo.
Il film
Si tratta di un film «[…] di produzione francese, uscito nel mondo il 9 settembre dopo essere stato lanciato in Francia il 19 agosto [2020], che racconta la storia semiautobiografica della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré, allorché da piccoletta restò ammaliata da un gruppetto di baby dancer di twerking». Il twerking, per chi non lo sapesse, deriva con etimologia incerta dall’inglese «twerk», che secondo l’Oxford Dictionary significa «ballare una musica famosa in un modo sessualmente provocante che coinvolge i movimenti di spinta dell’anca in una posizione accovacciata» e che è esattamente quello che facevano in video le ragazzine appena undicenni protagoniste della vicenda.
La petizione
L’ipersessualizzazione, l’allusività spinta e la volgarità pure dei pochi spezzoni che si era avuto lo stomaco di guardare avevano spinto «iFamNews» a prendere una posizione ferma di condanna di ciò che appariva né più né meno che una violenza nei confronti di queste bambine e di tutte le altre che, da spettatrici, potessero esserne condizionate. Pedopornografia, insomma. Al punto che si è lanciata anche una petizione, che chiedeva a Netflix naturalmente di ritirare il film dagli schermi e di scusarsi esplicitamente con il pubblico.
La decisione del Grand Jury
Qualcuno l’ha considerata una pellicola in qualche modo “educativa”, quasi di “denuncia”, ma evidentemente invece aveva ragione «iFamNews», se neanche un mese dopo pure il Grand Jury del Texas ha decretato che vi fossero gli estremi per intentare una causa a Netflix. Infatti, «[…] nei Paesi di Common Law, come gli Stati Uniti d’America, al Grand Jury («gran giurì») spetta il compito preliminare di stabilire se le prove raccolte su un determinato caso siano sufficienti per dare inizio a un procedimento penale. Ebbene, la magistratura competente del Texas ha appurato che le evidenze sono sufficienti per perseguire Netflix […] per “esibizione oscena” di minorenni in modi che “solleticano pruriginosi interessi di natura sessuale” attraverso Cuties». Non una bazzecola, insomma.
La difesa dell’indifendibile
Poiché in ballo oltre al prestigio vi sono evidentemente pure notevoli somme di denaro, Netflix non ci sta e di recente si è arrivati ai ferri corti, con la major della TV on demand che invoca addirittura il Primo emendamento della Costituzione statunitense, quello della libertà di parola.
«Inizialmente», scrive il noto magazine di intrattenimento Variety, «era stata fissata un’udienza su quella mozione per giovedì [3 marzo]. Ma con una mossa procedurale alla vigilia dell’udienza, Babin [il procuratore distrettuale della contea di Tyler, in Texas] ha ritirato l’accusa originale e ha presentato quattro nuove accuse con uno statuto diverso, sostenendo che il film viola la legge statale del Texas contro la pornografia infantile». Perché è di quello che si tratta, di pedopornografia, come si è detto.
Netflix naturalmente rilancia e «[…] ha presentato una richiesta di ingiunzione alla corte federale, sostenendo che Babin ha abusato del suo ufficio per privare Netflix dei suoi diritti del Primo Emendamento». È prevista a breve un’audizione in tribunale a Beaumont, ugualmente in Texas.
Pedopornografia, no grazie
Quando due anni fa Netflix si è trovata al centro delle polemiche, ha sviato la questione non rispondendo sul film, quanto sul fatto di averne pubblicato un cartellone che presentava ragazze preadolescenti in pose sessualmente allusive. I responsabili dell’azienda si sono scusati, per attutire il forte contraccolpo online, affermando in una nota di essere «[…] profondamente dispiaciuti per l’opera d’arte inappropriata che abbiamo usato per Cuties. Non andava bene, né rappresentava questo film francese presentato in anteprima al Sundance. Ora abbiamo aggiornato le immagini e la descrizione».
Rispetto invece alla pellicola in sé, la piattaforma di streaming invece ha giocato la carta del film di “denuncia”, «un commento sociale contro la sessualizzazione dei bambini piccoli. È un film pluripremiato e una storia potente sulla pressione che le ragazze devono affrontare sui social media e dalla società in generale in fase di crescita – e incoraggiamo chiunque abbia a cuore queste importanti questioni a guardare il film”. Grazie, no, la pedopornografia non ha nulla da insegnare.
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