«Gli utenti che si sono indignati con Netflix lanciando una campagna di sabotaggio contro la piattaforma online per il film Mignonnes, conosciuto con il titolo internazionale Cuties, o non l’hanno visto o si sono limitati davvero alla locandina. Altrimenti non l’hanno capito o l’hanno guardato con occhi sbagliati».
Essendo promotore di una delle petizioni che chiede a Netflix di ritirare la pellicola, in italiano intitolata Donne ai primi passi, sento il monito pubblicato da Andrea Fagioli sul quotidiano d’ispirazione cattolica Avvenire come diretto (anche) a me. Il film non l’ho visto: l’ho scritto esplicitamente lanciando una delle petizioni di boicottaggio. Ma mi chiedo: Fagioli ha visto La vera gola profonda per poterne dare un giudizio? Forse che occorra sciropparsi l’intera filmografia di Ilona Staller, rarità comprese, per capire che lì c’è qualcosa che non va? Più in generale, e deontologicamente, siamo autorizzati a riportare una frase di Platone, a citare la teoria della relatività di Albert Einstein o a dire che Uto Ughi ci incanta solo se abbiamo letto l’opera omnia del filosofo greco, abbiamo tre dottorati in Fisica e un diploma accademico di primo livello al Conservatorio? Quanto alla faccenda della locandina, mi basta lo spezzone che ho linkato per dire che se avessi una figlia di 11 anni vorrei che nessuno la offrisse a occhi adulti in quel modo.
Fortuna, comunque, che Cuties non l’ho visto: perché altrimenti sarei stato relegato nel girone di coloro che «non l’hanno capito». Un minus habens, insomma. Domando però a lorsignori che capiscono tutto e tutto insegnano agli altri: c’è tanto da capire nella pellicola? Ci si deve sforzare molto per coglierne il montaggio analogico e l’ermeneutica raffinata? Servono seminari di approfondimento, master, concioni e “dibbattiti”?
Da quel che arguisco, Fagioli sostiene che Cuties non esalta, ma denuncia. Allora mettiamola così: sarebbe d’accordo se, al prossimo giro, una sua ipotetica figlia undicenne recitasse in un film del genere, facendo le cose che le undicenni fanno in questo film, lasciando che la telecamera registri ciò che registra in questo film, permettendo che il mondo intero veda quella sua ipotetica figlia undicenne come appaiono le undicenni in questo film e che per sempre su Internet la si ricordasse così? Non una undicenne qualsiasi, ma la sua ipotetica figlia di 11 anni, l’ipotetica, o concretissima, figlia undicenne di chiunque mi stia leggendo ora?
Proseguo. C’è bisogno di iniettarsi eroina in un braccio per dire che la droga è guano? C’è bisogno di andare all’Inferno per dire che non è esattamente un bel posto? Dobbiamo proprio sperimentare tutto, tutto, tutto sulla nostra pelle prima di emettere un giudizio? Mi perdonino, lorsignori, ma questo è un sofisma, e i danni della cultura che lo ha partorito sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.
Cuties scorre dunque sugli schermi asperso e benedetto. Ma il problema, scrive Fagioli su Avvenire, non sono quelle ragazzine cresciute troppo in fretta ‒ e male, aggiungo io ‒, che peraltro vediamo sin troppo spesso nella vita reale, ma «[…] è il mondo che gli abbiamo creato intorno, con genitori assenti […], con i social che ti spingono a credere di esistere e di essere qualcuno solo per il numero di like che ricevi, con la facilità con cui può accedere in internet a forme (in quel caso sì) di sessualità sbagliata e con il cellulare che diventa l’unico mezzo per creare uguaglianza». Fatta la tara di una certa retorica stanca, è vero: ma quando gli adulti si decideranno a fare gli adulti se davanti a Cuties perdono l’occasione per dira la verità o se non altro per osservare un decoroso silenzio?
Ora, se Cuties «[…] non può essere dato in pasto a tutti», come scrive Fagioli, chi se ne dovrebbe nutrire? Stante che le undicenni troveranno ovviamente il modo di vedere la pellicola al volo, se già non lo hanno fatto, forse gli adulti? Ma quale padre e quale madre stava aspettando Cuties come una rivelazione dall’alto? E quale padre e quale madre dovrà aspettare di vedere Cuties per capire di avere sbagliato l’educazione dei propri figli?
Conclude Fagioli che «[…] se letto correttamente e presentato bene, […] può diventare un film educativo». Qualche Gastani Frinzi organizzerà allora visioni terapeutiche di gruppo per “Genitori Anonimi”, ovviamente su Zoom, per osservare le «misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19»? Intanto, in attesa che gli adulti tornino a parlare alle bimbe di 11 anni non di culi, di tette e di patatine, ma di gioco dell’elastico, di bambole e di Lego, invito tutti i lettori cui non serve YouPorn per sapere cosa significhi andare oltre la misura, passare il segno, esagerare e arrampicarsi sui vetri a firmare la nostra petizione per boicottare il più possibile Cuties e Netflix. Avvenire sostiene che non abbiamo capito. Faremo loro un disegnino.
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