Un’iniziativa apparentemente nobile e votata all’integrazione socio-culturale, che però nasconde molte incognite e insidie. L’«affido culturale» è un dispositivo già lanciato in vari medio-grandi comuni italiani, da Milano a Bari, da Modena a Roma, che consiste nella possibilità per i minori di famiglie non abbienti di venire accompagnati da altre famiglie più ricche in luoghi di cultura, quali musei, mostre, teatri, cinema. Il tutto, ovviamente, a spese della famiglia «affiancante».
L’«affido culturale» è stato recentemente proposto anche a Torino, tramite un ordine del giorno, il cui oggetto è: «Aderiamo come Città di Torino all’affido culturale, un modo efficace di contrastare la solitudine e povertà dei bambini e delle famiglie più fragili». Un testo simile è stato approvato, sempre a Torino, nella Circoscrizione IV (Campidoglio-San Donato-Parella).
«Lo scopo fondamentale dell’affido culturale», si legge nell’ordine del giorno, «è quello di ridurre la povertà educativa, offrendo alle persone a ciò disponibili, siano esse single, coppia, o famiglie, l’opportunità di diventare accompagnatori per quei bambini che, diversamente (per vari motivi: disagio economico, povertà culturale, barriere linguistiche, barriere fisiche) non avrebbero mai la possibilità di conoscere, frequentare e apprezzare questi luoghi di cultura».
Il Consiglio Circoscrizionale di Torino IV chiede quindi al sindaco e agli assessori competenti di «valutare con attenzione la possibilità d’inserire» anche a livello cittadini «l’AFFIDO CULTURALE, considerando un insieme di fruizioni culturali condivise, tramite le quali le famiglie/soggetti-risorsa e le famiglie-destinatarie stringano un patto educativo per mettere in campo un sostegno complessivo multidimensionale, promosso, garantito e monitorato dalle associazioni con il coinvolgimento della Scuola».
Complesso di superiorità della sinistra
La proposta non è affatto piaciuta al gruppo consiliare di Fratelli d’Italia, che non si è limitato a votare contro ma ha anche protestato in piazza, coinvolgendo la deputata Augusta Montaruli. In un video postato su Twitter, l’onorevole Montaruli e il consigliere circoscrizionale Luca Maggia spiegano le ragioni del loro dissenso. La deputata definisce «scandaloso» l’ordine del giorno, in quanto viziato da un paternalismo «radical chic», per cui le famiglie più umili non sarebbero in grado di acculturare i propri figli. Una logica «aberrante», secondo la deputata di Fratelli d’Italia.
«Lo Stato non riesce a dare una mano alle famiglie umili in un altro modo, magari con un ticket-cultura, un bonus cultura per permettergli l’accesso a teatri, biblioteche e tutto quello che fa cultura?», domanda la Montaruli.
Secondo il consigliere circoscrizionale Luca Maggia, l’ordine del giorno per l’affido culturale è «una discriminazione nei confronti delle famiglie naturali di questi bambini», le quali, se impossibilitate economicamente a portare i figli in luoghi di cultura, dovrebbero essere aiutate dal «Comune di Torino» o dalla «circoscrizione» di appartenenza.
Il cuore del problema, comunque, è relativo a «chi seleziona le persone» incaricate di accompagnare i bambini nei musei o nei teatri. «Non accetteremo in silenzio passivamente questo ordine del giorno e ci batteremo affinché questa cosa non vada assolutamente in porto», conclude Maggia.
Riprendendo la parola, l’onorevole Montaruli definisce l’ordine del giorno «una marcia indietro, anche culturale» nei riguardi delle «fasce più umili». Secondo la deputata di Fratelli d’Italia, anche una mamma e un papà in difficoltà economiche o con «stipendio ridotto» devono essere messi nelle condizioni di «condividere i momenti culturali insieme ai propri figli», non di vederseli consegnati a un gruppo di «radical chic che si sente superiore economicamente, culturalmente e socialmente in modo vergognoso al resto della cittadinanza».
È troppo chiedere trasparenza?
I contenuti dell’ordine del giorno torinese, effettivamente, al di là del discutibilissimo approccio classista, pongono un problema di trasparenza e di libertà educativa: sono i genitori che decidono di affidare, anche solo per una giornata, i propri figli a un’altra famiglia oppure è il Comune che sceglie, a proprio insindacabile giudizio, quali bambini e ragazzi meriterebbero questo tipo di servizio?
La povertà di talune famiglie è spesso diventato il grimaldello nelle mani dei tribunali e dei servizi sociali per sottrarre in modo arbitrario molti minori ai loro genitori. Un sistema che è andato avanti per molti anni, fino all’esplosione dello scandalo di Bibbiano, che ha svelato tutto il marciume, gli abusi e il mercimonio che si nascondeva dietro la foglia di fico della legalità e dei diritti dei bambini.
I Comuni che hanno lanciato l’iniziativa dell’affido culturale dovrebbero quindi illustrare più nel dettaglio i loro piani e l’identità delle famiglie «affiancanti», mettendosi a totale disposizione delle famiglie, senza imporre loro nulla. È un eccesso di scrupolo chiedere tutto questo?
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