Last updated on Febbraio 26th, 2020 at 12:28 pm
Partiamo da Bibbiano per andare dove? Verso la verità, finalmente. Anzitutto quella processuale, che verrà accertata dai giudici. Ma, intanto, qualcosa va detto. Qualcosa che non può attendere i tempi del processo.
In primo luogo, la stessa genesi dell’indagine fa riflettere. L’indagine ha preso il via – così si legge nell’ordinanza cautelare – da sospetti in ordine a un «[…] aumento esponenziale anomalo delle segnalazioni di abusi sessuali su minori» provenienti dal Servizio Sociale dell’Unione dei Comuni della Val D’Enza. Si trattava, dunque, di dati che, evidentemente, altri, e in particolare chi, a vario titolo, era inserito nel circuito assistenziale-giudiziario, trovavano del tutto normali; o, comunque, tali da non destare particolari sospetti.
In secondo luogo, le circostanze di fatto accertate dagli investigatori, altrettanto significative, nella loro oggettività. Non valutazioni, non contestazioni di una metodologia, bensì l’accertato confezionamento di atti ideologicamente falsi. E tutto ciò in modo seriale, secondo un «copione» (così è scritto nel provvedimento del giudice) «quasi sempre uguale a sé stesso». Una serie di relazioni – continua l’estensore dell’ordinanza – caratterizzate da «[…] tendenziosa rappresentazione dei fatti e, a volte, da false rappresentazioni della realtà o omissione di circostanze rilevanti, tese in ogni caso a dipingere il nucleo famigliare originario come connivente (almeno se non complice o peggio) con il presunto adulto abusante, e a supportare in modo subdolo o artificioso indizi, nascondendo elementi indicatori di possibili spiegazioni alternative».
Non so se sia lecito parlare di un “sistema Bibbiano”. Certo è che, se si parla di un «copione», il presupposto è che vi sia un testo condiviso, un programma d’azione concordato, con degli attori, ciascuno con un ruolo proprio. Solo che non si tratta del palcoscenico di un teatro, ma della realtà di tante famiglie, della vita di tanti bambini.
Perché?
Ma andiamo avanti. E poniamoci qualche domanda. Anzitutto, una, cruciale, per chi, come chi scrive, fa di mestiere le indagini e cerca di dare un volto ai criminali: perché? Qual è la causa, la motivazione che ha spinto dei professionisti a confezionare addirittura atti falsi, a nascondere circostanze vere, insomma alla menzogna reiterata? Il profitto? Non sembra che i soldi siano stati la ragione scatenante; almeno, non sempre e non per tutti. C’è qualcos’altro, di ben peggiore, di più allarmante, tanto da rappresentate il fondamento del giudizio di pericolosità pronunciato dal giudice nei confronti degli indagati: il «perseguimento di obiettivi ideologici non imparziali» (così ancora una volta si legge nel provvedimento giudiziario). Un’ideologia che il giudice vede ben sintetizzata nel “manifesto” del Centro Studi Hansel e Gretel, cui appartengono molti dei soggetti-attori di quel copione: «schierarsi contro l’adultocentrismo e la cultura patriarcale».
Un’ideologia con un fine presentato come intrinsecamente nobile e salvifico, tanto da ubriacare i protagonisti con quella che, sempre nell’ordinanza, viene definita «saccente presunzione» di essere dalla parte della ragione: un vero e proprio «fanatismo missionario» (tale è la definizione, icasticamente efficace, usata dal giudice).
Ma se di ideologia si tratta, allora i confini di Bibbiano si dilatano. Non si è più dinanzi alla banalità del male. C’è qualcosa di più profondo, il contagio è più ampio. E qualche domanda ulteriore dunque si impone. Quanti si sono riconosciuti e si riconoscono in questa ideologia? Quanti, pur essendosi abbeverati a questa “scuola” sono disposti ad aprire gli occhi? Psicologi, assistenti sociali, consulenti, magistrati? Quanti vogliono davvero cambiare le regole, intervenire su affidi e adozioni per fare davvero l’interesse dei bambini e non quello di adulti imbevuti di perniciosa ideologia?
E allora parliamo sì di Bibbiano, ma, soprattutto partiamo da Bibbiano per intraprendere un viaggio che ci conduca, con umiltà, a fare finalmente i conti con un’antropologia sbagliata e dannosa, che non esita a manipolare i bambini pur di andare contro la vera natura dell’uomo. Partiamo da Bibbiano per una coraggiosa terapia culturale e sociale, che non può prescindere dalla voce libera di quanti non sono disposti a recitare copioni preconfezionati. Memori, alla scuola di Rosario Livatino (1952-1990), che «la giustizia non è affare di pochi magistrati».
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