«Nine Perfect Strangers»: quel denominatore comune che ci rende umani

Viaggio psichedelico nel centro benessere dove si scopre che il bene non ha niente a che fare con la fuga dal dolore

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Last updated on Ottobre 28th, 2021 at 05:31 am

Un lutto improvviso e drammatico, un tradimento, l’insipienza di una vita troppo facile, la dipendenza da oppiacei in seguito a un infortunio grave, l’opportunità di un grande scoop giornalistico o una ennesima delusione amorosa: sono diversi i motivi per cui Nine Perfect Strangers, «Nove perfetti estranei», si incontrano in un resort di lusso, Tranquillum House, fondato da una donna russa misteriosa ed eterea, Masha Dmitrichenko (Nicole Kidman). Sullo sfondo, ma a volte anche in primo piano, i tre dipendenti del resort: Delilah, Yao e Glory, alle prese con i protocolli di cura di ogni singolo ospite, nella promessa che i dieci giorni di ritiro spirituale a Tranquillum House sapranno «trasformare e sanare» qualsiasi esperienza traumatica nascosta nella storia dei pazienti.

Nella miniserie televisiva disponibile da agosto su Prime Video, prodotta da David E. Kelly, lo stesso di Boston Legal e di Big Little Lies, alla terza collaborazione con la Kidman, un cast di tutta eccezione promette grandi performance e una storia importante.

Località da sogno, esperienze da incubo

Tranquillum House si trova nel nord della California, anche se in realtà la serie è stata girata, in piena pandemia, nel New South Wales, nella celeberrima Byron Bay, in Australia. Il lussuosissimo resort, che accoglie gli ospiti con deliziosi smoothie alla frutta esotica, ovviamente personalizzati in base alle esigenze di ogni individuo, si trova immerso in un paesaggio paradisiaco: cascate incontaminate, boschi verdeggianti e pozze di acqua termale. I visitatori sono incoraggiati a immergersi nella natura, mentre le sollecitazioni degli “operatori del benessere” li spingono a far venire a galla, tra una corsa con i sacchi e un bagno in piscina, le proprie fragilità e i propri drammi interiori.

Fin dalla prima apparizione sullo schermo, infatti, ogni personaggio – Masha compresa – mostra chiaramente di non essere quello che vorrebbe far credere e di nascondere almeno uno scheletro nell’armadio. Giorno dopo giorno, ed esperienza dopo esperienza, tutti sono costretti a far cadere in qualche modo la maschera, per arrivare ad affrontare i propri demoni interiori, quelle paure mai confessate nemmeno a se stessi, in un crescendo di tensione che minaccia più volte di tramutarsi in tragedia.

Puntata dopo puntata, lo spettatore ha la sensazione di trovarsi di fronte a una commedia, a un drama, a un giallo alla Agatha Christie, a un thriller che arriva fino a toccare i brividi dell’horror. Ben frullati assieme come la frutta del primissimo fotogramma, i vari generi si sposano con grande maestria, e rarissimi sono i cali di tensione nel quadro di un ritmo sempre incalzante e suggestivo.

La svolta dei funghetti: che delusione!

Una Kidman tramutata quasi in un elfo dei boschi incede ieraticamente tra i drammi e le rivelazioni dei personaggi, portatrice di una tranquillità e di un mistero che promettono una cura e una salvezza dal sapore soprannaturale. O almeno così pare, finché in qualche ospite del lussuoso resort si fa strada il medesimo sospetto sorto anche nello spettatore: non è che l’insistenza quasi estetica per gli esotici smoothie preparati dagli operatori della casa nasconda un piccolo, psichedelico segreto?

Ebbene sì: la cura e la guarigione promesse dalla enigmatica Masha hanno poco a che fare con le filosofie orientali e un’alimentazione bilanciata, e molto con le sostanze stupefacenti. Proprio come per l’ecofemminista Christina Rivera Cogswell, sono le microdosi di funghetti allucinogeni il segreto sentiero per la salvezza. Di fronte al dramma della morte, dell’impotenza, della propria fragilità e dell’incapacità nel sostenere le esperienze di una vita, pare che non ci sia più nessuna parola, nessuna speranza, nessuna via di redenzione che non abbia a che vedere con le allucinazioni, possibilmente anche “di gruppo”, indotte da dosaggi sempre più importanti e pericolosi di sostanze psicotrope.

«E adesso come ci droghiamo?»: è proprio questa la domanda che rimane, quando nemmeno di fronte all’evidenza della colpevole imprudenza di Masha, e delle sue finalità tutt’altro che altruistiche, gli ospiti drogati e terrorizzati addirittura da una minaccia di morte imminente, appaiono intenzionati a denunciare la “padrona di casa”. Anzi, la sua personalissima “via medica” a un consumo “controllato” di droghe porta ciascuno dei nove non più estranei, dopo aver toccato il punto più basso della crisi personale, a una svolta di vita, in una sintesi che ricupera le esperienze traumatiche lungo una via aperta verso un futuro apparentemente appagante per tutti. Sempre che l’happy end sia reale, e non il semplice frutto dell’immaginazione della scrittrice del gruppo (l’irresistibile Melissa McCarthy), come qualche lettura suggerisce.

Peccato che proprio l’eterea Masha, nell’ultimissimo fotogramma, sfrecciando lontano su una Lamborghini gialla fiammante, sembri suggerire che, ancora una volta, la felicità si nasconde dietro a una illusione. Una allucinazione, anzi, che può promettere di durare tanto quanto l’ultima dose assunta.

Si infrange così l’ultimo anelito a un bene, denominatore comune tra gli esseri umani, che non abbia a che fare con lo sperimentare stati mentali piacevoli – la specialità dei funghetti psichedelici –, ma con il desiderio di un vero compimento di sé.

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