Last updated on Agosto 31st, 2021 at 02:50 am
Quando l’estate si fa rovente, ma le ferie sono già terminate, capita in famiglia di rifugiarsi dentro casa, con i bambini, guardando insieme vecchi DVD o andando alla scoperta delle nuove uscite cinematografiche non ancora apprezzate. Può accadere, poi, che il tempo dello svago nasconda sorprese piacevoli. Infatti, nonostante le derive culturali cui persino i cartoni animati non sono più esenti, è innegabile come alcune pellicole, anche recenti, di una casa di produzione come la Disney esaltino il valore della famiglia. Oggettivamente.
Cruella: dura la vita di chi ha a cuore solo se stesso
La storia di Cruella, il nuovo film diretto da Craig Gillespie, e basato sulla storia arcinota de La carica dei 101, fa parte di quelle narrazioni che tentano di “redimere” il villain di turno, indagando le origini remote della cattiveria del personaggio. Anche se almeno nelle favole è rassicurante pensare che i cattivi facciano i cattivi e basta, in questa storia scoppiettante si nasconde una significativa perla di saggezza. Nel racconto dell’infanzia e della prima giovinezza di quella che diventerà Cruella Devil (meglio nota ai più come Crudelia Demon) c’è la storia di una bambina rifiutata dalla madre biologica, troppo concentrata sulla propria carriera per potersi occupare di un figlio. La pellicola esplicita le convinzioni di chi pensa che la vita di un figlio sia un bene inferiore al vincere, tanto per fare un esempio, il Golden Globe.
Una superba Emma Thompson, nei panni della Baronessa – stilista di successo, che molto ci ricorda la Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada – mentore della giovane promessa della moda, afferma: «Brindiamo… a me! A chi altro dovrei brindare altrimenti? […] tu mi sei utile, tutto qui. Appena smetti di esserlo tu sei cenere. […] Non puoi aver a cuore nessun altro, chiunque altro è un ostacolo. Se hai a cuore ciò che prova un ostacolo, sei morta! Se avessi avuto a cuore qualcuno sarei morta, come tante donne brillanti con un cassetto colmo di genialità nascosta e un cuore colmo di triste amarezza».
Non sa, la poveretta, di stare parlando proprio a quella figlia che ha rifiutato in passato, ma si accorgerà – vedere per credere – dove porti non avere a cuore nessun altro, persino per una donna brillante con il mondo apparentemente ai suoi piedi. Tra l’altro – spoiler alert – nemmeno l’essere figlia di cotanta madre porterà Cruella alla cattiveria pura, anzi (ne saranno lieti gli animalisti), tra le numerose divergenze dal cartone animato, il film corregge l’orribile pensiero che Crudelia si sia fatta veramente una pelliccia con i deliziosi dalmata: i dalmata non sono invero per nulla deliziosi, ma persino loro, alla fine, rifiutano di schierarsi dalla parte della padrona, la perfida Baronessa. Madre disposta a sacrificare la vita della figlia, pur di affermare se stessa, resterà con un pugno di mosche (e non solo in senso metaforico).
Mulan: il valore della lealtà alla famiglia
Altro film Dinsey, remake dell’omonimo cartone animato, è Mulan, diretto nel 2020 da Niki Caro. Storia della mitica eroina femminile cinese, capace di sfidare le tradizioni per sostituire il padre in battaglia, si sarebbe potuta facilmente prestare a una celebrazione dei “valori” di certo femminismo, nell’esaltazione di una donna che sfida il mondo degli uomini. Invece, quasi sorprendentemente, la storia di Hua Mulan mostra ben altro.
La nostra eroina, riconosciuta come salvatrice della Cina e della vita stessa dell’imperatore, rifiuta l’onore di entrare a far parte della guardia imperiale. Desidera piuttosto tornare a casa al più presto e chiedere perdono al padre per averne tradito la fiducia, fuggendo di nascosto. Anche l’azione più eroica, con l’esito migliore possibile, ha bisogno di una redenzione: il perdono per l’inganno e la mancanza di lealtà da cui è scaturita.
L’imperatore commenta così: «Molto bene Mulan, la devozione verso la famiglia è virtù essenziale». Tanto da essere incisa sulla spada donata a Mulan dall’imperatore medesimo: insieme alle tre virtù dei guerrieri cinesi – lealtà, impavidità e sincerità – la storia della ragazza guerriera aggiunge l’ideogramma della quarta virtù fondamentale: la devozione alla famiglia. Come il padre le aveva detto all’inizio della storia: il suo compito è quello di proteggere le figlie, il compito di Mulan è portare onore alla famiglia. Con le sue azioni la giovane lo ha fatto, sfidando la tradizione, senza calpestarla.
Inside Out: l’isola della famiglia salva dal naufragio
L’ultima pellicola di questa breve rassegna è più datata: Inside Out, il film di animazione del 2015 che ha suscitato grande ammirazione e assieme critiche aspre per l’apparente appiattimento dell’esperienza sulla dimensione emotiva dei personaggi. È pur vero che nella cabina di regia della mente della protagonista del film, l’undicenne Riley, sono presenti cinque personaggi – Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura – il cui lavoro di squadra porta alla scelta della condotta da seguire nelle varie circostanze. Trattandosi di un cartone animato e non di un trattato di antropologia, pare forse più interessante il focus puntato sul valore della relazione educativa, vissuta entro l’ambito familiare. Esistono infatti, nella mente della bambina, le “isole”, identificazioni concrete dei diversi tratti della personalità della protagonista, giunta a un momento cruciale dello sviluppo. Tra queste isole, costruite sulla scorta dei “ricordi base” dell’esperienza dei primissimi anni di vita, quella della famiglia è sicuramente la più influente nel determinare il comportamento di Riley proprio di fronte alle prime difficoltà. Se le emozioni, confuse e senza guida, sbandano pericolosamente, basta una parola pronunciata dalla madre, un inaspettato «grazie» in un momento di fatica, per ricondurre a unità l’esperienza e riportare la pace.
Insomma, par di vedere in atto la buona pratica della famiglia: è nell’educazione che l’individuo si rende indipendente dalle proprie reazioni emotive, dalle passioni, sviluppando, nella dipendenza riconosciuta entro la relazione educativa, quell’indipendenza razionale capace di governare le emozioni e di scegliere il bene come fine ultimo dell’agire.
Non per niente, superata la tempesta, mentre i “tecnici” montano la nuova e ampliata consolle – dotata di un preoccupante tasto «pubertà» – le emozioni riunite osservano soddisfatte il prosperare dell’isola della famiglia, sempre più grande e ricca di memorie significative. Certo, accanto all’isola della moda e a quella delle boy band.
La famiglia al centro
È veramente una ventata di freschezza, soprattutto dopo le recenti sparate di pseudointellettuali cui manca, forse, la fortuna di una nidiata di bambini con cui guardare i cartoni animati nell’afa agostana, constatare che anche le storie più moderne costituiscano veramente «il mondo umano stesso, con la sua narrazione», secondo la teoria vichiana della mitopoiesi.
Salvando la Cina, lanciando una nuova griffe di alta moda o semplicemente affrontando i primi turbamenti preadolescenziali, tutte le nostre eroine sono determinate nel proprio agire dalla relazione educativa significativa sviluppata nell’ambito del legame familiare.
E non potrebbe essere altrimenti: chi decide, infatti, di sciogliere qualsiasi vincolo, per “avere a cuore solo se stesso” si trova irrimediabilmente solo, non dipendente, e quindi incapace di qualsiasi rapporto significativo con la realtà, se pure apparentemente all’apice del successo.
Descrivere con onestà la realtà, anche solo per mero intrattenimento, non può che far emergere questa evidenza fondamentale: la famiglia è il centro dell’esperienza e dello sviluppo della persona umana.