«Supponiamo che una donna abbia progettato di raggiungere in giugno una spedizione alpina, e a gennaio apprende di essere incinta da due mesi. Non ha bambini e desidera fermamente avere un bambino entro un anno. La gravidanza è indesiderata solo perché non arriva al momento opportuno. Presumibilmente gli avversari dell’aborto considereranno questo caso particolarmente intollerabile, visto che né la vita della madre né la sua salute sono in pericolo – ma solo il piacere della scalata. Tuttavia […] questo aborto è lecito: non fa che procrastinare l’entrata nel mondo di una nuova persona». Così scrive, in Etica pratica, Peter Singer, «l’uomo più pericoloso del mondo», secondo The Guardian, professore a Princeton e a Melbourne, vero e proprio «profeta della liberazione animale». In Italia è stato insignito del premio Empty Cages per il contributo offerto a una «nuova consapevolezza del rapporto tra uomini e animali», ed è famoso per Liberazione animale, dal 1975 manifesto di un intero movimento.
Non solo di animalismo, però, si occupa Singer, ma pure ampiamente di etica e bioetica. Il citato Etica pratica, per esempio, oltre che di uguaglianza tra le specie viventi, discetta di aborto e di eutanasia, fino ad interrogarsi sul significato dell’agire morale in sé.
Elucubrazioni intellettualoidi per chi ha poco da fare durante il dì? Per nulla. Di particolare attualità oggi è infatti la tesi secondo cui sarebbe lecito, addirittura desiderabile, a fronte di una gravidanza indesiderata semplicemente perché la madre aveva, che so, altri progetti per le vacanze, differire la maternità, abortendo il figlio già concepito per riprovarci dopo le ferie. E questo è Singer applicato alla perfezione. Eliminare un embrione, un feto o addirittura un bambino già nato (visto che il filosofo approva persino l’infanticidio), per svago o di fronte a una diagnosi prenatale che riveli una (possibile) malformazione, non è illecito perché «la perdita di vita felice per il primo bambino è superata dal guadagno di vita felice per il secondo». Questioni, insomma, di partita doppia.
Il figlio è cioè un’entità rimpiazzabile, degno di valore e soggetto di diritti solo in relazione all’aspettativa di soddisfazione per le persone che gli stanno intorno. Se quindi, puta caso, la madre fosse un’attrice in carriera che aspira alla vittoria del prestigioso (ma futile) Golden Globe, trovandosi in corpo “qualcosa” che non ha scelto, non può, forse addirittura non deve “sostituire” il bambino intempestivamente concepito con un altro programmato in frangenti più consoni? Tanto una cosa vale l’altra.
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