Last updated on Febbraio 22nd, 2021 at 12:50 am
Qualcosa si muove, finalmente, in Pakistan. Dopo l’avvio di una indagine governativa sulle aggressioni sessuali, le conversioni forzate e i matrimoni fraudolenti, cui sono sottoposte ogni anno migliaia di giovani appartenenti alle minoranze religiose del Paese a maggioranza musulmana, arrivano alcuni primi segnali concreti di cambiamento.
Buone notizie, nel concreto, nella storia della piccola Farah Shaheen: proprio mentre la sua storia compariva sulle nostre pagine, con una decisione storica il tribunale di Faisalabad annullava le nozze cui era stata costretta dal proprio rapitore e stupratore.
Farah ha vinto la sua battaglia
Rapita, violentata, incatenata da un cittadino pakistano musulmano di 45 anni, Farah era stata liberata in seguito a una “negoziazione” con il proprio aguzzino: una piccola novità in un Paese in cui polizia e spesso anche magistratura operano compiacendo gli estremisti islamici. Ma il destino della bambina è rimasto sospeso fino alla sentenza del 16 febbraio. Se pure liberata dal rapitore, Farah non era stata restituita al padre, ai fratelli e alla piccola comunità cristiana cui appartiene: condotta in una casa di accoglienza a Dar-ul-Aman, aveva dovuto continuare la vita di “convertita”, mentre al tribunale venivano consegnate perizie false per assegnarle una età diversa da quella reale, così da assolvere il 45enne che l’aveva costretta alle nozze. In Pakistan sono infatti formalmente vietati i matrimoni per le minorenni, nonostante la consuetudine segua vie molto differenti.
Nell’ultima udienza, invece, il giudice Rana Masood Akhtar ha rigettato le perizie false, che assegnavano a Farah 16 o 17 anni, e ha riconsegnato la bambina alla sua famiglia, affermando: «Vuole vivere con suo padre. Poiché il matrimonio tra Farah Shaheen e Khizar Hayat non è stato registrato, e il contratto di matrimonio non è stato verificato dal Consiglio dell’Unione interessato, la ragazza non può essere tenuta a Dar-ul-Aman per un periodo indefinito. […] Il padre ha assunto l’impegno, assieme ai suoi familiari, di prendersi adeguatamente cura della signorina Farah Shaheen e di non permettere che nessun altro causi danni alla sua vita e alla sua libertà».
«Sia lode a Gesù Cristo, nostro salvatore. Il nostro piccolo angelo Farah è tornato a casa»: con queste parole il vescovo mons. Iftikhar Indryas, che ha fornito assistenza legale alla famiglia per il ricongiungimento con Farah, ha salutato la sentenza favorevole. «Il Pakistan», ha aggiunto, «deve porre fine una volta per tutte alla conversione forzata delle nostre ragazze […]. È tempo che il governo ponga fine a questo male». La battaglia per Farah è peraltro solo un inizio: «Ringraziamo tutti i cristiani per aver alzato la voce contro gli insulti e le ingiustizie», ha continuato il presule. «Faremo di questo successo un riferimento affinché le conversioni forzate delle nostre figlie siano fermate. È nostra responsabilità, come loro genitori e come loro protettori, garantirne la sicurezza e sostenere le vittime di queste violenze affinché tornino a casa».
Ora tocca al governo
Proprio in questo senso pare muoversi il governo pakistano, come annunciato dal ministro per i Diritti umani, Shireen Mazarai: «Abbiamo preparato il progetto di legge sul matrimonio cristiano e sul divorzio consultando le parti interessate. Si è riconosciuto l’esistenza di diversi problemi che debbono essere risolti […]. Il nostro governo segue un approccio basato sui diritti onde proteggere quelli delle minoranze garantiti dalla Costituzione. Le donne e le minoranze sono tra le fasce più vulnerabili della società: richiedono quindi garanzie speciali per far sì che i loro diritti siano protetti».
Si tratta di dichiarazioni espresse in occasione della Conferenza interreligiosa per le giovani donne, organizzata dalla diocesi cattolica di Peshawar, dalla Chiesa del Pakistan, dal Seminario Islamico Jamia Asharafi e dal Consiglio interreligioso per l’armonia. Si è svolta il 18 febbraio a testimonianza della possibilità di un dialogo fecondo tra esponenti delle diverse religioni presenti nel Paese. Le dichiarazioni del ministro proseguono del resto confortanti: «La Costituzione del Pakistan prevede diritti uguali anche ai non musulmani. Nell’islam non esiste il concetto di matrimoni forzati. Le minoranze non dovrebbero sentirsi dunque spaventate o minacciate. Lo Stato perseguirà gli individui che cerchino di far loro del male».
La nuova legge sul matrimonio cristiano e sul divorzio, in discussione al parlamento, sostituirà le leggi precedenti, risalenti alla fine del secolo XIX.
In realtà in Pakistan esiste già una “legge dormiente sui matrimoni forzati”: secondo la Sezione 498 B del Prevention of Anti-Women Practices Act del 2011, la punizione prevista è una pena detentiva dai 3 ai 10 anni e una multa di 500mila rupie. Ma, dice Peter Jacob, direttore del cattolico Center for Social Justice (CSJ), tale clausola non è mai stata applicata: «Non c’è stato alcun discorso in assemblea o in Senato. […] Né le forze dell’ordine né le famiglie delle vittime conoscono questa legge. Tutti i casi di conversioni forzate sono registrati come stupro o rapimento. [….] Dovrebbe essere introdotto un disegno di legge di emendamento al diritto penale che faccia riconoscere, verificare e convalidare tutte le conversioni religiose da un alto giudice civile, per accertare la presenza del libero arbitrio, oltre all’adeguatezza dell’età e dello stato civile delle parti».
Gli eventi concreti degli ultimi giorni aprono uno spiraglio di speranza per le altre ragazze che, come Maira, stanno attraversando le medesime drammatiche vicende, in un Paese dove la libertà religiosa è una conquista ancora lontana.
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