Non è un Paese, la Svizzera, che in alcun modo “discrimini” le persone LGBT+, omosessuali, transgender.
Addirittura, nel settembre 2021, quasi due terzi degli elettori svizzeri hanno approvato tramite referendum una proposta per consentire il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso e la legge entrerà in vigore a partire dalla metà di quest’anno.
Dal 1° gennaio, inoltre, per il «cambiamento di sesso» all’anagrafe sarà sufficiente avere compiuto 16 anni, spendere il corrispettivo di 70 euro ed espletare una semplice procedura burocratica, che non prevede l’intervento né di un medico né di un giudice.
Contemporaneamente, rimane valida la possibilità, per chi lo desiderasse, di accedere a «terapie riparative» o «di conversione», che sempre più spesso sono vietate invece in altri Paesi evidentemente più “orientati” dal punto di vista ideologico. Si tratta come noto di quell’insieme di consulenze di tipo psicologico o di supporto spirituale e religioso, a disposizione delle persone omosessuali che volessero confrontarsi con questo aspetto di sé ed eventualmente preferissero essere aiutate a volgersi verso un orientamento differente, all’eterosessualità.
Il fatto che esse rimangano accessibili per i cittadini va allora nella direzione di considerare tali pratiche, se condotte con serietà, competenza e rispetto, come dovrebbe per altro essere in ogni caso, come un diritto delle persone, almeno al pari di altri cosiddetti «diritti» strombazzati invece a ogni angolo di strada.
Dal punto di vista pratico, mentre tre soli Cantoni e cioè Basilea città, Berna e Zurigo hanno manifestato l’intenzione di porre un veto alla legalità delle «terapie riparative», il sistema politico svizzero, in cui il governo è ripartito fra la Confederazione, i Cantoni stessi e i Comuni, rende attualmente non praticabile il divieto a livello cantonale. A quanto pare, infatti, Basilea città ha sì vietato tali pratiche, ma le autorità di Berna e Zurigo ritengono che tali disposizioni possano avvenire solo a livello federale.
Vi è per altro anche una chiara opposizione politica all’esclusione di queste procedure, in particolare all’interno dell’Unione Democratica di Centro (UDC), per i germanofoni Schweizerische Volkspartei (SVP), che rimane il partito politico maggiore e più popolare del Paese.
David Trachsel, presidente della sezione giovanile del partito, ha affermato pragmaticamente che tali terapie dovrebbero rimanere legali, non essendo in alcun modo imposte, bensì messe a disposizione solo di coloro le richiedessero esplicitamente. «Chiunque abbia bisogno di aiuto dovrebbe essere in grado di ottenerlo», ha dichiarato Trachsel al notiziario della Radiotelevisione svizzera (RSI) 20 Minutes, laddove invece, naturalmente, «se una persona prende parte a tale terapia a causa di pressioni esterne, allora questo deve essere perseguito».
Cosa accadrà dunque in futuro? La validità giuridica di un divieto a livello cantonale non è stata ancora verificata e come anticipato le autorità di Berna e Zurigo ritengono necessaria una soluzione della questione a livello federale. Già nel 2016 per altro il Consiglio federale svizzero ha affermato di non vedere la necessità di vietare le «terapie riparative» ai minori.
Le autorità del cantone di Basilea Città hanno però lanciato un’iniziativa per ottenere la loro proibizione che potrebbe portare a un voto sulla questione a livello federale, richiedendo che le «terapie riparative» siano bandite, con sanzioni ancora da definire per chi le praticasse, siano essi terapeuti o persone di riferimento delle varie religioni.
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