Il governo italiano aveva intenzione di portare, dal 1° gennaio, la soglia massima per i pagamenti in denaro contante al di sotto dei 1000 euro, dimezzandola cioè rispetto al valore precedente. Il 17 febbraio, però, la maggioranza di governo si è divisa sul punto durante l’esame degli emendamenti al decreto-legge cosiddetto «Milleproroghe» alla Camera, grazie a un ricompattamento del fronte di centro-destra. Una vittoria però temporanea, giacché l’entrata in vigore della nuova soglia di 1000 euro è stata soltanto rinviata di 1 anno, al 1° gennaio 2023.
Al di là della battuta d’arresto, rimane evidente la volontà dei governi, da trent’anni a questa parte, di procedere con la restrizione dell’uso del contante, avanzando sempre le stesse motivazioni: contrasto all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata. Una tendenza, questa, diffusa in tutta Europa, con l’eccezione notevole della Germania, dove, al momento, non sono ancora previsti limiti massimi. Ma sorge una domanda: si tratta davvero di un’arma atta a contrastare criminalità ed evasione fiscale, come dichiarato dai governi, oppure anche, e soprattutto, un modo per “educare” i cittadini all’utilizzo di strumenti digitali e quindi tracciabili? Se sì, con quali obiettivi?
Lo Stato è sempre più invadente
Se è vero che la presenza di denaro contante comporta inevitabilmente rischi di riciclaggio, anche la digitalizzazione crescente dei pagamenti apre però alla possibilità di truffe e frodi online, clonazioni di carte di credito e altre attività illecite, come per esempio il cosiddetto cyber-riciclaggio o cyber laundering.
Pensare poi di contrastare l’evasione fiscale in modo efficace solo ponendo limiti sempre più stringenti all’uso del contante appare illusorio e distoglie l’attenzione dalle motivazioni reali per le quali esiste un’economia sommersa: la presenza di un livello di pressione fiscale vessatorio, che azzoppa le prospettive di crescita economica e sociale del Paese.
Invece la riduzione del perimetro di intervento dello Stato nella vita economica e sociale consentirebbe di abbassare la spesa pubblica e quindi anche la pressione fiscale, facendo riemergere molte attività ora costrette a un’evasione parziale: per sopravvivere, non per prosperare.
In Italia, e non solo, complice l’emergenza continua, sta invece accadendo l’opposto: lo Stato è sempre più invadente, sia lato pressione fiscale sia lato regolamentazione e burocrazia.
La società senza cash
L’obiettivo ultimo della “guerra al contante”, dichiarata e condotta degli ultimi decenni in molti Paesi del mondo, sembra piuttosto essere la completa digitalizzazione dei pagamenti, nella prospettiva della cosiddetta cashless society, dove tutti i flussi di pagamento verrebbero digitalizzati, monitorati e controllati lungo un trend che è stato accentuato dall’epidemia di CoViD-19 e che destinato a rafforzarsi ancora.
Ora, oltre ai maggiori costi per gli utilizzatori e alle difficoltà per le persone anziane, meno abituate a servirsi di dispositivi elettronici, la digitalizzazione totale dei pagamenti aprirebbe inevitabilmente la strada a probabili violazioni della privacy e della libertà. Si presterebbe, infatti, non solo a controlli fiscali, ma anche alla profilazione delle persone, utilizzabile, questa, non solo a fini di marketing , ma anche, se e qualora il potere politico lo volesse, per la limitazione ad libitum della libertà, favorendo comportamenti ritenuti meritevoli, e quindi da “premiare”, e contrastandone o inibendone altri, ritenuti invece indesiderati.
Ostracizzare le persone non gradite
In particolare preoccupa il possibile abbinamento futuro della digitalizzazione dei pagamenti all’attribuzione della cosiddetta «identità digitale» a tutti i cittadini europei, secondo il progetto portato avanti dall’Unione Europea (UE).
Da un punto di vista tecnologico, infatti, nulla impedirebbe di inibire i pagamenti in uscita e in entrata per un soggetto ritenuto, per qualche motivo, “non meritevole”, un po’ come capita con il sistema cinese dei “crediti sociali”, dove, al di sotto di un certo ranking, viene impedito al cittadino l’accesso a determinati beni e servizi, e quindi ristretti discrezionalmente i diritti.
Lo stesso accade anche in Italia con il cosiddetto «Green Pass», sia base sia rafforzato, al momento legato al soddisfacimento di requisiti mutevoli, in teoria sanitari, ma in realtà “lasciapassare” virtualmente estendibile ad altri usi, con il rischio che il suo obbligo rimanga in vigore indefinitamente anche dopo il termine dell’emergenza sanitaria stessa, e/o che sia riattivabile e rimodulabile alla bisogna secondo le decisioni, tempo per tempo, del sistema politico.
Dai diritti ai permessi
In altri termini si rischia di passare da una logica di “diritti” permanenti a una di “permessi” temporanei, che possono quindi essere concessi o revocati, in qualsiasi momento, in modo discrezionale. La contemporanea eliminazione del denaro contante non lascerebbe peraltro vie di fuga: a livello tecnologico, infatti, sarebbe facile e immediato bloccare i pagamenti attraverso un’inibizione a livello informatico dell’ID account (il codice identificativo attribuito al soggetto), utilizzando algoritmi che incrocino tutti i dati rilevanti della persona, da quelli sanitari a quelli fiscali, in tempo reale e senza possibilità di appello.
L’introduzione del cosiddetto «euro digitale» – di cui esiste un avanzato progetto-pilota dell’UE, con obiettivo di partire nei prossimi 3-4 anni –, assieme al contestuale e graduale ritiro del contante, sarebbe l’ultimo tassello nella gestione politica del denaro.
Già ora, infatti, in regimi monetari fiat in monopolio legale – dove cioè la moneta non ha supporto materiale e fonda il proprio valore sulla fiducia delle persone nell’ente emittente delle banconote e delle monete – il denaro non appartiene più alla res publica, bensì all’autorità politica, con la conseguenza che gli Stati possono attuare politiche inflazionistiche che ne falsifichino il potere d’acquisto, svilendolo nel corso del tempo, violando diritti di proprietà e contratti, e producendo ingiusti e opachi effetti redistributivi della ricchezza e dei redditi, con distorsione degli scambi e dell’efficiente allocazione delle risorse.
Risparmio scoraggiato e più povertà per tutti
Un domani le Central Bank Digital Currencies – le divise digitali delle Banche Centrali – potrebbero imporre, alla bisogna, anche tassi nominali negativi sui conti correnti, fissate delle scadenze temporali per incentivare l’utilizzo del denaro o anche ristretta la spendibilità del denaro a certi “panieri” di beni e servizi pre-definiti, escludendone altri.
In tal modo il risparmio – già eroso dai rendimenti “reali” (= rendimenti nominali – tasso di inflazione) in territorio negativo per via dei rendimenti nominali compressi dalle politiche monetarie ultra-espansive e da un’inflazione in forte rialzo – sarebbe ulteriormente scoraggiato. Insieme al risparmio e alla proprietà privata, il denaro contante va quindi protetto e bene ha fatto il Centro-destra a votare contro in Aula. Il contante rappresenta infatti un importante presidio di libertà, di privacy e di autonomia personale e familiare: per tutti, a partire dai più deboli.
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