Philip Ball è un celebre autore e divulgatore scientifico britannico, per anni redattore del prestigioso periodico Nature, con cui ancora collabora.
Stimolato dal disegno di legge attualmente in discussione nel Regno Unito sul benessere degli animali, che li riconosce formalmente come esseri senzienti, fossero pure granchi e polpi, Ball ha firmato un articolo lungo e dotto a proposito di questo tema sul quotidiano londinese The Guardian.
A prescindere dalla giusta considerazione data al benessere degli animali, che meritano rispetto in quanto esseri viventi, Ball ha analizzato la concezione che l’uomo ne ha avuto nel tempo in relazione alla senzienza, cioè il loro essere senzienti, dotati di caratteristiche biologiche e prerogative proprie degli esseri umani, capaci di provare sentimenti e sensazioni: da Aristotele (384/383-322 a.C.) a Cartesio (René Descartes, 1596-1650) a Charles Darwin (1809-1882), sino ai biologi e ai neuropsichiatri di oggi.
Ciò che colpisce, però, sono alcune conclusioni cui arriva.
Benché Ball sia favorevole alle novità che la Gran Bretagna si appresta ad approvare in questo campo, infatti, neppure questo pare bastargli, né gli impedisce di affermare che «[…] le persone hanno discusso aspramente, dogmaticamente e persino violentemente sul benessere degli animali per molto tempo, eppure inquadrare la questione in termini di diritti validi giuridicamente comporta un bagaglio sulla natura socialmente costruita (e quindi esclusivamente umana) dello stato morale e basata sui diritti ragionamento. Il punto di partenza avrebbe dovuto essere piuttosto la natura della cognizione animale: cioè il modo in cui noi e gli altri esseri siamo posizionati in un ampio panorama di menti». Come a dire che, a prescindere dal fatto che gli animali siano senzienti o meno, che la loro “mente” sia paragonabile per alcuni aspetti a quella umana oppure no, i loro diritti dovrebbero essere in ogni caso pari a quelli delle persone.
Ball va anche oltre, con parole per lo meno impegnative: «Alla fine la nozione di “diritti” è estremamente antropocentrica. Anche i diritti, diciamo, degli embrioni umani o delle persone in coma incurabile (che si potrebbe sostenere abbiano meno sensitività di uno scimpanzé) sono inquadrati in termini di potenziale per l’esperienza umana». A parte il paragone con le scimmie, come sempre piuttosto sgradevole, è la verità nuda e cruda che traspare dalle sue parole a inquietare. Un bambino nel grembo materno o un anziano disabile sono «inquadrati in termini di potenziale per l’esperienza umana», “valutati” in base al fatto che “sentano” o “provino” qualcosa, posto che sia possibile scientificamente stabilirlo, e viene attribuita loro dignità di vita oppure no in base a uno standard fissato arbitrariamente. Quantomeno questo è quanto pensano le persone favorevoli all’aborto e all’eutanasia, è ovvio.
Continua a parlare di animali, Ball: «Ma mentre gli strumenti giuridici spesso ottusi possono essere necessari per prevenire abusi evidenti, la domanda giusta non è cosa gli animali “meritino” o si debba concedere loro, ma che tipo di mente hanno e quali obblighi noi esseri umani abbiamo nei loro confronti di conseguenza».
Abbiamo obblighi, in qualità di esseri umani, verso gli animali. Verso i bambini, verso i malati, pare invece che non ve ne siano: basta farli fuori e non ci si pensa più. Ci sta scrivendo sopra un libro, Ball, che uscirà in giugno.
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