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Tutto l’orrore dell’aborto da remoto

Quale occasione migliore del coronavirus per lasciar le donne ancora più sole, ma “libere” di uccidere i propri figli?

Cristina Tamburini di Cristina Tamburini
20/05/2020
in Vita
702
Reading Time: 4 mins read
0
Donna sola

Image by Google Images

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Last updated on Maggio 21st, 2020 at 12:04 pm

Nella serie televisiva Rita, trasmessa da Netflix, la protagonista, insegnante che faticosamente si districa tra alunni, figli, colleghi e una serie di relazioni sentimentali, si trova a fare i conti anche con una gravidanza inaspettata. Estremamente significativa (e mendace) la scena in cui “risolve” la situazione ingoiando una pillola nel bagno di casa.

L’immagine di questa donna, sola, incapace di prendere in mano la sua vita e la responsabilità  – non per niente l’immaturità è la caratteristica che la renderebbe “vicina” ai suoi studenti – si riaffaccia come un pungo nello stomaco di fronte a certe affermazioni, come quelle dell’International Federation for Human Rights (FIDH), secondo cui «le donne e le ragazze si trovano ad affrontare restrizioni significative nell’accesso sicuro ai servizi sessuali e riproduttivi essenziali, in particolare cure tempestive per l’aborto, cure post-aborto e contraccezione di emergenza» a causa della pandemia di CoViD-19 e alla crisi della salute pubblica.

Li chiamano “diritti umani”

L’aborto, considerato urgenza medica non procrastinabile, va “salvaguardato”, possibilmente percorrendo metodi che evitino l’ospedalizzazione: in Gran Bretagna, per esempio, è stato sdoganato l’aborto “domestico” fai-da-te e le donne che vorranno abortire potranno ottenere – proprio come la danese Rita del serial – pillole che provochino l’interruzione di gravidanza, previo semplice consulto telefonico, o addirittura online. Anche in Italia chiunque si trovasse nella necessità di reperire maggiori informazioni non deve fare altro che aprire Facebook, dove ostetriche solerti, quelle che dovrebbero «stare a fianco delle donne», spiegano con immagini “divertenti” e semplici mappe concettuali che «non occorre andare in ospedale». Ma soprattutto «se vi fanno storie, ditecelo!».

Il tutto è giustificato, necessario, indispensabile, a maggior ragione a causa di quelle «barriere particolarmente gravi», sempre secondo l’International Federation for Human Rights, che stanno sorgendo per «le donne e [per] le ragazze che vivono nei Paesi europei in cui l’assistenza all’aborto è illegale o severamente limitata». Proprio questi Paesi, così ottusi e retrogradi, dovrebbero preoccuparsi di «riformare urgentemente queste leggi che mettono a rischio la salute e la vita delle donne». Perciò, «conformemente agli obblighi in materia di diritti umani e alle raccomandazioni degli esperti medici», sarebbe necessario, sostiene l’FIDH, garantire che l’aborto sia trattato come servizio di assistenza sanitaria essenziale, con consultazioni tempestive di telemedicina accessibili a chiunque, con tempistiche d’accesso rapide e semplificate, con l’esplicita preferenza per l’assunzione di «tutti i farmaci per l’aborto in casa», rimuovendo sia i periodi di attesa obbligatori sia la presenza fisica del medico per l’assunzione della pillola abortiva stessa.

Eliminare il “problema”

Un vero abominio: nell’immaginario comune la donna gravida ingoia la pillola come fosse una tachipirina e, dopo una buona notte di sonno, si sveglia serena e “libera” dal “problema”, ma in realtà la pillola abortiva non agisce affatto come una tachipirina, e il bambino non si dissolve magicamente dal ventre della madre. Come denuncia The Daily Signal, contro l’industria dell’aborto – che sfrutta la pandemia per spingere l’interruzione di gravidanza – la propaganda svergognata a favore della pillola abortiva “domestica” ributta il peso dell’interruzione volontaria di gravidanza solo sulle spalle delle donne. Se la battaglia per depenalizzare e legalizzare l’aborto ha sempre sventolato la bandiera della fuoriuscita dalla solitudine e dai rischi dell’aborto clandestino, il coronarvirus è invece diventato l’occasione per spalancare «il futuro dell’aborto».

L’aborto chimico è invece anch’esso un trauma, fatto di giorni di morsi uterini, sanguinamento e contrazioni che culminano nell’espulsione dei resti del bambino, il quale, a 10 settimane di gestazione, per esempio, è già formato con testa, mani, piedi e dita. Comporta poi un rischio di complicanze quattro volte maggiore rispetto a un aborto chirurgico, per non parlare dello shock di una madre costretta a occuparsi, da sola, dei resti del suo bambino abortito. Elevato anche il rischio di aborto incompleto, circostanza che necessita di un successivo intervento chirurgico per estrarre dall’utero quel che rimane del piccolo, e di emorragie prolungate, che rendono necessarie trasfusioni sanguigne.

Nonostante ciò, negli Stati Uniti Planned Parenthood ha annunciato di voler estendere i propri “servizi telematici” a tutti i 50 Stati, fingendo – per ragioni ideologiche – che gli aborti chimici possano essere condotti “serenamente” da remoto, se non addirittura in assoluta solitudine.  L’importante è che la donna abortisca, velocemente, senza pensieri, senza disturbo, senza nessuno. Da sola, in bagno. Esattamente come avveniva “ai tempi dell’aborto clandestino”.

Tags: CoViD-19International Federation For Human Rights
Cristina Tamburini

Cristina Tamburini

Cristina Tamburini, laureata in Filosofia con una tesi in Antropologia filosofica sull'utilitarismo contemporaneo, moglie e mamma di sette figli, non ha mai abbandonato lo studio e la passione per l’antropologia filosofica, l’etica e la bioetica. Ha tradotto in italiano diversi testi, fra i quali Azione e condotta: Tommaso d’Aquino e la teoria dell’azione di Stephen L. Brock e Intenzione di G. Elizabeth M. Anscombe, estendendo i propri interessi alla Teologia (in particolare all’Escatologia e alla Dottrina sociale della Chiesa). Ha curato il blog Sì, sono tutti miei! per raccontare e approfondire il maternage e la quotidianità in una famiglia numerosa.

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