Almeno una o due persone, ogni settimana, optano per il cosiddetto «suicidio assistito» in Nuova Zelanda dal giorno dell’entrata in vigore, il 7 novembre. Come riferisce il quotidiano The New Zealand Herald (NZH), in questi tre mesi 73 persone hanno chiesto di porre fine alla propria vita, seppure poi «meno di venti» lo abbiano fatto. Tale numero è comunque «previsto in aumento». Un exploit eutanasico tristemente analogo a quello già in atto in alcuni Paesi europei.
Secondo il presidente dell’organizzazione filoeutanasica «End of Life Choice Society», Ann David, il motivo per il quale un gran numero di persone non ha ancora espresso volontà di morire è semplicemente perché molte di loro non sanno che ciò sia possibile. La maggior parte dei programmi di natura eutanasica, sostiene la David, si caratterizzano infatti per una «partenza in sordina».
L’attivista pro-eutanasia afferma che, «se una persona non ha il cancro, non potrà godere di morte assistita», perché oggi i criteri di accesso «escludono la maggior parte delle malattie neurodegenerative e altre, dal momento che semplicemente i medici non possono dirlo… o non possono prendere decisioni che abbraccino un arco di sei mesi».
La legge approvata dal parlamento neozelandese nel 2019, confermata poi da un referendum nell’ottobre 2020, sarebbe in realtà viziata da una serie di percezioni errate del problema. Alcuni sondaggi diffusi dal mondo pro life neozelandese mostrano che l’80% degli elettori non sono affatto informati sul contenuto reale della legge.
La morte di Stato è servita
Dopo un paio di mesi di interpretazioni contrastanti è arrivata poi una conferma agghiacciante da parte del ministero neozelandese della Sanità: per la «morte assistita», «l’idoneità è determinata caso per caso; pertanto, il Ministero non può rilasciare dichiarazioni definitive su chi sia idoneo. In alcune circostanze un paziente con CoViD-19 può essere ammesso alla morte assistita».
Nel Paese il dibattito si focalizza soprattutto sui tempi di approvazione della richiesta di morte. Mediamente le domande vengono approvate dopo quattro o sei settimane. Al riguardo, però, il dottor John Kleinsman, direttore dell’organizzazione pro life The Nathaniel Center, segnala richieste accolte dopo pochi giorni: «È successo così rapidamente, senza nemmeno il tempo di affrontare gli aspetti più problematici, come avviene per le cure palliative», dice Kleinsman al NZH.
La disinvoltura con cui viene si procede alla «morte assistita» sconvolge persino alcuni fra gli stessi sostenitori dell’eutanasia. per esempio l’ex parlamentare Maryan Street, scioccata dalla notizia di un amico che ha voluto ricorrere alla nuova legge immediatamente dopo la sua approvazione.
Sì, l’End of Life Choice Act sta spaccando profondamente l’opinione pubblica neozelandese e in particolare la comunità scientifica, come del resto è già avvenuto nei Paesi Bassi. Perché la nuova legge è anche un forte disincentivo alle cure palliative, peraltro già poco diffuse nel Paese, e alla protezione dei più vulnerabili.
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