Last updated on Ottobre 25th, 2020 at 03:29 am
Da anni chiede di rivedere il figlio, ma, in cambio, ha ricevuto soltanto denunce e rinvii a giudizio. La vicenda di Giada Giunti non è isolata. Sono infatti centinaia, in tutta Italia, le famiglie o le madri che si sono viste sottrarre ingiustamente i propri bambini, vittime di servizi sociali troppo zelanti o corrotti, oppure, come in questo caso, di padri prepotenti.
Riassumere l’odissea umana e giudiziaria della signora Giunti e del figlio quattordicenne, «J.», non è semplice. Basta comunque ricordare che Giada si separa dal marito all’inizio del 2010, quando «J.» non ha nemmeno quattro anni. Inizialmente il bambino è affidato alla madre, ma il padre giura che le farà vivere l’inferno pur di sottrarglielo. La situazione inizia a degenerare nel 2013, quando, per l’ennesima volta, la signora Giunti viene aggredita fisicamente dall’ex marito: dopo aver soprasseduto nei tre anni precedenti, Giada lo denuncia, ma la denuncia viene archiviata dopo quattro anni e quattro mesi. Al danno si aggiunge la beffa: ora è lei a essere denunciata per simulazione di reato.
Negli anni successivi tra gli ex coniugi sorge una controversia in merito all’alimentazione del bambino. Affetto da celiachia, «J.» viene forzato dal padre a nutrirsi di cibi con glutine, con grave danno per la sua salute e conseguenti accessi al pronto soccorso. Il 7 luglio 2015 Giada viene privata della potestà genitoriale, a seguito della denuncia per aggressione, maltrattamenti e stalking che ha sporto nei confronti dell’ex marito: il Pubblico ministero invia infatti richiesta di archiviazione al giudice minorile, ritenendo le denunce della donna «strumentali e di pregiudizio» per il minore. Il 14 settembre 2016 il Tribunale dei Minori dispone inopinatamente la sottrazione del bambino alla madre e il suo collocamento in casa-famiglia. L’accusa, sempre respinta dalla signora Giunti, è quella di avere un giorno abbandonato il figlio in un circolo sportivo di Roma Nord: un’imputazione davvero curiosa, che stride con la ricorrente definizione di Giada come «simbiotica» da parte dell’ex marito.
Il 15 dicembre dello stesso anno «J.» viene prelevato forzatamente a scuola da ben otto uomini, di cui cinque sono agenti dell’anticrimine: dopo tre ore di pianti e di resistenze, il bambino viene immobilizzato da tre di loro, gettato a forza sull’auto di servizio e portato alla casa-famiglia. Dopo sette mesi da incubo, in una struttura inadeguata e fatiscente, la signora Giunti riesce a disporre il trasferimento di «J.» presso la nonna materna a Massarosa, in provincia di Lucca. Vi rimarrà fino al settembre 2019. Nei due anni che intercorrono a Giada viene concesso di vedere il figlio soltanto un’ora ogni due settimane, nel corso di incontri protetti alla presenza di un’educatrice incaricata.
La situazione precipita però il 31 luglio 2019, quando «J.» viene affidato al padre, nonostante tutte le perizie psichiatriche precedenti avessero qualificato il genitore come violento, manipolatore e con seri disturbi della personalità e del pensiero. Secondo la versione del padre, sostenuta dagli assistenti sociali, il bambino desiderava vivere con lui, mentre le testimonianze della signora Giunti e dei suoi avvocati, unitamente alle perizie degli psichiatri Alessandro Meluzzi e Paola Notargiovanni, affermano l’esatto contrario: negli anni della convivenza con il padre, il ragazzo ha continuato a essere alimentato con cibi a base di glutine e a subire violenze e umiliazioni, con gravi conseguenze sulla sua autostima e sul suo rendimento scolastico. I due psichiatri rilevano quindi la «chiarissima volontà» espressa dal minore di tornare con la madre per la quale richiedono l’improrogabile affido per evitare «danni irreversibili» nello sviluppo della personalità.
Dall’ottobre 2019 a oggi la Corte d’Appello di Roma ha rigettato ben otto provvedimenti d’urgenza depositati dai legali di Giada Giunti, la quale non vede più il figlio, nemmeno in videochiamata, dal momento in cui questi è stato affidato al padre. Tutte le decisioni della Corte d’Appello sono inficiate dalla composizione del collegio giudicante che è rimasta inalterata dal 2016 a oggi.
Il caso di «J.» è finito persino in parlamento, oggetto di un’interpellanza e di tre interrogazioni alla Camera: a una di queste ha risposto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sottolineando «il pieno diritto di ascolto del minore, considerato che nel caso trattato sembrerebbe essere completamente trascurata la volontà di quest’ultimo». Un’altra interrogazione è stata presentata il 14 ottobre dall’on. Stefania Ascari (Movimento Cinque Stelle), proprio a seguito dell’ottavo rigetto (prossima udienza il 19 novembre, da decidersi solo sulla base della documentazione) della Corte d’Appello dell’udienza di oggi per rispondere dell’accusa di calunnia mossale dall’ex marito, che appunto respinge come false le accuse di aggressione risalenti al 2013. L’episodio, però, non solo sarebbe stato confermato dal figlio della coppia ma anche da un certificato di pronto soccorso, con prognosi di cinque giorni per «escoriazioni multiple» ai danni della Giunti.
Della penosa situazione sono stati messi a conoscenza anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e Papa Francesco in diverse occasioni. È peraltro del 14 ottobre l’avvio di un approfondimento sul caso da parte della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere.
In soli 16 mesi Giada ha presentato 33 richieste conciliative con l’ex marito ma sono state tutte respinte. Essendo stati respinti anche tutti i suoi ricorsi in appello, alla Giunti sono state addebitate spese processuali per 107mila euro, nonostante l’ex marito le sia debitore per 80mila euro. Da alcune settimane, la donna è in sciopero della fame, nella speranza che il suo difficile caso riesca ad attirare l’attenzione dei media e delle istituzioni.
Perché la famiglia, che in questo caso già è stata distrutta, deve continuare a subire attacchi assurdi come questi?
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