Senza parlare è possibile dire moltissime cose

A teatro e nella vita reale, la disabilità che non scandalizza, ma unisce. La vita vale sempre. «Perché sei al mondo?»

Last updated on Ottobre 1st, 2021 at 04:52 am

La disabilità dà fastidio? Sì, la disabilità infastidisce, disturba, mette in difficoltà chi la guarda, giunge a provocare un pensiero duro e schietto sino alla crudeltà, per chi avesse il coraggio di affrontarlo: «per fortuna», si pensa, «non è capitato a me. Ma a te».

In modo appunto duro e schietto, in questi giorni, sui palcoscenici milanesi, lo afferma senza remore né mezzi termini Sara, diciott’anni, occhi scuri e una treccia castana pettinata con cura. Solo che Sara non parla. Non parla, non si muove, mantiene sempre la medesima espressione, è bloccata su una carrozzina e, come si diceva, mette in imbarazzo chi la incontra, chi incrocia il suo sguardo.

Rewind. Lo spettacolo teatrale Senza parlare, di Spk Teatro, prodotto dal Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, per la regia di Lisa Moras, ha iniziato la propria tournée milanese il 13 settembre al Teatro Franco Parenti. La concluderà il 1° ottobre nella sala del Campo Teatrale. In mezzo altre date (alcune ancora disponibili, basta registrarsi sul sito web dedicato, ed è pure gratuito): al Teatro Filodrammatici, al Tertulliano, al PACTA Salone, al Teatro della Cooperativa. Sempre a Milano.

Non vi è cambio di scena, tutto il tempo teatrale si svolge lungo una sola giornata, quella del diciottesimo compleanno di Sara, e si dipana in un’unica stanza. Tratteggiato da un lungo tavolo in legno grezzo e da un fondale a griglia metallica cui sono appesi oggetti e ricordi della vita della ragazza, si immagina un soggiorno, un living, una stanza di vita comune per una famiglia che comune non è.

In questo spazio e in questa giornata si muovono Sara e il fratello Marco, giovane uomo che un po’ lavora al computer, un po’ chiacchiera al telefono con la fidanzata, un po’ si occupa della sorella, inferma sulla carrozzella nera e moderna cui si trova inchiodata, organizzando nel frattempo una festicciola casalinga per il diciottesimo compleanno di lei.

Perché Sara è disabile, gravemente disabile: è affetta da «paralisi cerebrale di tipo spastico». Deve essere accudita, pettinata, nutrita, portata in bagno. Soprattutto, Sara non parla, se non tramite un dispositivo digitale cui invia lettere e simboli, specialmente per rispondere alle domande che le pone chi si occupa di lei.

Nella finzione teatrale la carrozzella resta vuota e la brava attrice che interpreta Sara invece si muove veloce sulla scena e parla, parla tutto il tempo, dando voce a quanto nella realtà resterebbe muto. E si tratta di un mondo infinito, articolato, complesso. I pensieri della ragazza, i suoi desideri rispetto alla festa che si sta organizzando per lei, i suoi sentimenti, le sensazioni che prova rispetto alle altre persone, ai familiari, agli estranei, ai vicini incontrati per caso che, come si diceva all’inizio, la guardano con espressioni che, a differenza di quanto fa Sara, dicono tutto.

Bravissima Sara e bravissimo Marco, il fratello, con cui avviene il lancio e rilancio di parole (sì, nonostante tutto, parole), a volte parolacce, sentimenti, ricordi. Il tessuto di una famiglia, talvolta affaticata e stanca, ma una famiglia, che riscopre nonostante tutto una comunicazione che attraversa l’apparente incomunicabilità. «Perché sei al mondo?».

E poi si ride, durante lo spettacolo, dapprima timidamente perché il pubblico teme di essere cinico, o indiscreto, poi più apertamente, perché Sara e Marco sono anche ironici e leggeri, nelle loro vite che leggere non sono. Altro non si può aggiungere, o sarebbe peccato, peccato di spoiler.

Il progetto, insieme semplice e ambizioso, nasce da un libro che si intitola, appunto, Senza parlare, «scritto, a più mani, dalle famiglie che frequentano il settore di Comunicazione Aumentativa Alternativa del Centro Benedetta D’Intino Onlus».

Come spiega Mattia Formenton, presidente della Fondazione Benedetta D’Intino, il libro che ha dato lo spunto per questa pièce «nasce dalla voce di genitori di bambini seguiti al Centro […] che hanno raccontato […] la loro storia con la disabilità comunicativa». Voce, insomma, per chi voce non ha.

Come si legge sul sito web, il Centro Benedetta D’Intino «nasce nel 1994 dal sogno di Cristina Mondadori. Da allora a oggi, un’équipe di professionisti dedica competenze e attenzione nell’accoglienza di bambini con grave disabilità comunicativa e con disagio psicologico […] un punto di riferimento sia in Italia che all’estero».

Il Centro offre tantissimi strumenti ai bambini e ai ragazzi fino ai 18 anni e alle loro famiglie, con i servizi di comunicazione aumentativa alternativa, di comunicazione per l’autismo, la biblioteca speciale, gli incontri di psicoterapia. Attraverso la Fondazione, giunge sino a promuovere questa tournée teatrale che vorrebbe non concludersi con l’ultima data milanese, bensì trovare sponsor e possibilità per girare tutto il nostro Paese.

Parlarne con Paola Ratclif, giovane responsabile per la Comunicazione e le relazioni esterne della Fondazione, è stato significativo. «Il libro Senza parlare, pubblicato nel 2015, ha riscosso molto successo. A questo punto, si trattava di dare alle famiglie dei “nostri” bambini la possibilità di raccontarsi un’altra volta», ha raccontato. «Bisognava narrare la disabilità comunicativa con un linguaggio semplice, se si vuole usare un gioco di parole: si correva un bel rischio…». Paola ha parlato di «sensibilità» e «intensità», di un impegno grande, anche emotivo, delle famiglie e degli operatori che hanno seguito il progetto, dei giudizi che tanti hanno dato dello spettacolo: «bello», «delicato», «preciso dal punto di vista scientifico».

«iFamNews» concorda certamente con questo giudizio. Più volte su queste colonne virtuali ci si è occupati di disabilità, di vulnerabilità e di dignità. Anche questa volta è stato bello e interessante farlo. Perché anche per «iFamNews» i bambini, le mamme, le famiglie sono al centro di una preoccupazione vera, di un affetto vero.

«Perché sei al mondo?». Cosa ci stai a fare? Eh, bella domanda.

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