Se anche Oxford si piega al politicamente corretto

Il Merton College organizza un dibattito, ma bandisce opinioni sgradite agli LGBT+: polemiche e poi il dietrofront

Last updated on Febbraio 17th, 2020 at 04:17 am

Secondo il quattro volte premier britannico di fine Ottocento William Gladstone (1809-1898), Oxford «ha inculcato una riverenza per ciò che è antico, libero e grande». Oggi, circa un secolo e mezzo dopo, una delle prestigiose articolazioni dell’università della città inglese rischia di avere, piuttosto, una riverenza per ciò che è politicamente corretto. Il riferimento è al Merton College, che ha deciso sì di programmare una serie di dibattiti finalizzati a far riflettere gli studenti su scottanti temi etici, ma a patto che la narrativa sia solo ed esclusivamente una: quella LGBTQ+. Come si legge su The Telegraph, infatti, l’ateneo ha pubblicizzato il prossimo evento dal titolo Conversazioni sull’uguaglianza allo scopo di approfondire il tema della “intersezionalità trans”, ovvero delle discriminazioni subite dalle persone transessuali. C’è però un dettaglio tutt’altro che insignificante: dal dibattito è bandita ogni opinione non conforme all’agenda a tinte arcobaleno, pertanto i partecipanti devono siglare un codice di condotta in cui assicurano di «astenersi dall’usare un linguaggio o presentare idee finalizzate a minare le identità trans e di genere». Lo stesso articolo di The Telegraph ‒ firmato da Camilla Turner ed Ewan Somerville ‒ rileva: «È probabile che ciò [questo linguaggio] includa l’opinione secondo cui esiste una differenza tra sesso e identità di genere, così come l’opinione che le donne biologiche non siano esattamente come le donne transgender, che sono biologicamente maschi, ma che si identificano come femmine». Non sono mancate, poi, altre manifestazioni di disappunto, persino all’interno dello stesso college. La prof.ssa Selina Todd, per esempio, ha affermato che «il mio intelletto suggerisce che le università e i college debbano sostenere la libertà di parola». La Todd ha aggiunto di essere «sbalordita» dal regolamento imposto in occasione di questo dibattito e ha rilevato che costituisce un «precedente pericoloso». Sulla stessa lunghezza d’onda Michael Biggs, professore di sociologia nella medesima università, secondo cui «il codice di condotta sembra inteso ad infondere ansia nel pubblico, che non può sapere quali punti di vista sono vietati».

Il dietrofront

Il vespaio di polemiche ha sortito effetti. Mercoledì della scorsa settimana il Merton College ha deciso di rivedere le regole del dibattito: ha rimosso dalla pagina dell’evento il codice di condotta sostituendolo con una generica dichiarazione di sostegno alla libertà di parola. Si legge, come riporta ancora il The Telegraph: «L’Università e il College ritengono prioritario proteggere la libertà accademica e i propri membri da discriminazioni illegali». E poi, ancora, l’istituto oxfordiano precisa che l’obiettivo è «promuovere una cultura fondata su opinioni e dibattiti che non tollerino alcuna forma di molestia e persecuzione», per cui «noi e l’Università siamo impegnati a promuovere un ambiente inclusivo e diversificato garantendo a tutto il nostro personale e agli studenti, compresi i membri LGBTQ+ della comunità, che siano in grado di prosperare e realizzare il loro potenziale». Tutto è bene quel che finisce bene? Insomma. Intanto si apprende che pochi giorni fa alla prof.ssa Todd è stata concessa protezione dopo che ha ricevuto minacce da attivisti trans. E poi il caso del Merton College insegna due cose. Primo: su determinati temi ‒ come spiega il dott. Marcus Evans nella propria testimonianza ripresa da “IFamNews” ‒ esiste una coltre intellettuale che non ammette dissenso. Secondo: il parziale dietrofront del Merton dimostra che, solo se c’è qualcuno disposto a insorgere contro l’imposizione di un pensiero unico, è possibile bucare quella coltre intellettuale.

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